Cambiano le Linee Guida del Ministero della Salute rispetto alla ristorazione ospedaliera e scolastica, con un passo indietro tangibile riguardo all’alimentazione plant-based. A differenza di quanto sostenuto nelle indicazioni del 2010 – e poi ribadito nelle Linee Guida del 2016, che davano il via libera del Ministero all’alimentazione vegetariana e vegana – il nuovo documento in fase di approvazione porterà a modificare il tipo di alimentazione offerta oggi dalla ristorazione pubblica, a discapito delle diete a base vegetale. Come si legge nel documento ufficiale, il motivo di questo rinnovamento è da ricercarsi sia nella volontà di aggiornare le versioni precedenti, sia nell’intenzione di promuovere “l’adozione di abitudini alimentari corrette per la promozione della salute e la prevenzione delle patologie cronico-degenerative, di cui l’alimentazione scorretta è uno dei principali fattori di rischio”.
Il punto è che, a quanto pare, anche un’alimentazione plant-based rientra nell’accezione di “alimentazione scorretta” secondo le nuove Linee Guida del Ministero della Salute. A pagina 25 del documento pubblicato in questi giorni, si dedica spazio a quelle che vengono definite come “problematiche emergenti in ambito ospedaliero e scolastico“: tra gli aspetti da sottolineare si colloca la “necessità di programmare diete che rispondano alle specifiche esigenze etiche/culturali/religiose di differenti gruppi, e che contemporaneamente siano adeguate dal punto di vista nutrizionale per gli utenti delle mense scolastiche o a soggetti ricoverati in ospedale, e quindi potenzialmente a rischio di malnutrizione“. Si tratta naturalmente di una posizione fin qui estremamente condivisibile, che però poche righe più in basso lascia spazio a un altro tipo di considerazioni. Si legge infatti:
È difficile distinguere le sopracitate e giustificate esigenze etiche/culturali/religiose da mode e derive ortoressiche. Il modello alimentare mediterraneo è universalmente riconosciuto valido per mantenere e raggiungere un buono stato di salute e prevenire le malattie croniche non trasmissibili per ogni persona, di qualsiasi condizione sociale ed età.
L’alimentazione vegana come “moda passeggera” è un clichè talmente tanto battuto negli ultimi anni dalla stampa da rendere impossibile non vedere qui un chiaro riferimento alle diete a base vegetale nel documento ministeriale. Oltre a ciò, è importante sottolineare che la dieta mediterranea a cui si fa riferimento nelle Linee Guida ha poco o niente a che fare con il modello alimentare mediterraneo “reale”. Come sottolinea il professor Leonardo Pinelli – Professore associato di pediatria dell’Università di Verona, Diabetologo, Esperto in nutrizione e nutrizione fisiologica a base vegetale nonché membro del Comitato Scientifico di Associazione Vegani Italiani Onlus – quella proposta dalle nuove Linee Guida “è una “Moderna Dieta Mediterranea” che al contrario dell’originale – che prevedeva alimenti animali solo come condimento ai primi piatti, alla domenica e alla Festa – suggerisce consumi di carni rosse e bianche, latte e latticini più volte alla settimana“.
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Il vegan come “dieta di esclusione”
Ma non è tutto: nella stessa pagina l’alimentazione plant-based viene definita come “dieta di esclusione“, sottolineando come “questi modelli alimentari rischiano, soprattutto in soggetti più fragili (bambini, anziani, malati), di non assicurare un apporto corretto o un’adeguata biodisponibilità di alcuni nutrienti e sono di più difficile gestione per assicurare un adeguato apporto di energia e nutrienti. Le linee guida anche più favorevoli a questi modelli suggeriscono infatti la necessità di supplementazione di alcuni micronutrienti (ad es. vit. B12) e di monitorare costantemente lo stato di nutrizione (valutazione delle ingesta, di indici bioumorali e di crescita staturo-ponderale) al fine di prevenire l’instaurarsi di uno stato di malnutrizione soprattutto quando le richieste di nutrienti aumentano, sia in termini quantitativi che qualitativi, come avviene nei pazienti affetti da patologie acute/cataboliche”.
Una posizione, quella ministeriale, che non può certamente definirsi aggiornata, e che risulta in controtendenza rispetto alle evidenze scientifiche più recenti: ultime, in ordine di tempo, sono le nuove linee guida elaborate dal CREA, nelle quali compaiono non poche citazioni dirette alla dieta vegana, ma anche indirette. “Più frutta e verdura”, “più cerali integrali e legumi” e “sostenibilità” sono tre macroargomenti che strizzano decisamente l’occhio a una dieta vegana ben bilanciata, che implicitamente prevede il rispetto di questi tre punti cardine. Inoltre, queste Linee Guida non si oppongono mai alla scelta di una dieta vegana, neppure in gravidanza, in allattamento e per lo svezzamento. Come queste, tante altre dichiarazioni da parte del mondo scientifico danno il via libera alle diete plant-based in ogni fase della vita, senza alcun rischio per la salute ma, al contrario, sottolineandone i benefici.
A questo si aggiunge un ulteriore passo indietro rispetto alle posizioni precedenti, rappresentato da quanto si legge di seguito:
Da notare che le motivazioni salutistiche e ambientali che portano ad adottare modelli diversi da quello mediterraneo, spesso non sussistono.
Piuttosto che aggiornare le versioni precedenti, l’intento della nuove Linee Guida sulla ristorazione pubblica sembra la volontà di chiudere (e far chiudere) gli occhi di fronte alle evidenze. Sono sempre più numerosi e sempre più frequenti gli studi scientifici che dimostrano l’impatto benefico delle diete plant-based sulla salute umana e sulla sostenibilità ambientale, come quello più recente elaborato da un gruppo di scienziati dell’Università di Oxford, in collaborazione con l’Università del Minnesota.
In generale, quello che emerge è che gli alimenti di origine vegetale hanno un impatto notevolmente inferiore su ambiente e salute; in particolare, una porzione di carne rossa da 50 grammi (aggiuntiva rispetto ai valori medi di riferimento tratti da altri studi), è associata all’emissione di almeno 20 volte più gas serra e a un utilizzo del suolo 100 volte superiore rispetto a una porzione di verdure da 100 grammi. Ma non basta, perché dallo studio emerge che una porzione di soli 50 grammi di carne lavorata al giorno (che equivale, per esempio, a due fette di prosciutto) aumenta del 41% la probabilità di andare incontro a malattie potenzialmente mortali – come malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2 e ictus. Non va dimenticato, a questo proposito, che nel 2015 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha classificato la carne rossa tra i cancerogeni umani probabili e la carne lavorata tra i cancerogeni umani certi, al pari di alcol e fumo.
Le diete plant-based non sono una moda, né tanto meno una deriva ortoressica della sana alimentazione: escludere i cibi di origine animale è una necessità impellente, oltre che per motivazioni etiche, anche e soprattutto per ragioni di sostenibilità ambientale e di salute pubblica. L’approvazione di questo documento porterebbe l’Italia a diventare il fanalino di coda europeo in fatto di alimentazione pubblica, mentre nel resto d’Europa (e del mondo) il vegan comincia a diventare una scelta istituzionalizzata.
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