Che oggi sia la giornata mondiale contro il razzismo è risaputo, e ci sono le nostre agende a ricordarcelo, più difficile non lasciare questo giorno nella sfera delle buone intenzioni, dei flata vocis, ma fare un collegamento interspecie e praticarlo come fondamento della nostra vita. Qual’è il collegamento tra lo specismo, che ritiene alcuni animali più degni di essere amati e non uccisi rispetto ad altri (il solito problema dei festival cinesi a base di carne di cane che fanno scalpore,quando ogni giorno milioni di mucche e maiali vengono uccisi nel silenzio); il razzismo, che ritiene che alcune persone abbiano più diritti e meritino migliore trattamento di altre solo in base al loro colore della pelle; e il sessismo, che ritiene che una parte della popolazione, per il fatto di essere nata di un genere, possa determinare diritti e trattamento dell’altra parte di popolazione?
Angela Davis, ce lo spiega nella sua pratica quotidiana: connettere la liberazione umana a quella animale è una chiave importantissima nel nostro processo. “Di solito non affermo di essere vegana, ma solo di essermi evoluta.” dice la Davis durante la 27esima conferenza delle Donne Afroamericane “Penso che sia arrivato il momento giusto per parlarne perchè fa parte di una prospettiva rivoluzionaria – come possiamo non solo scoprire relazioni più tolleranti tra umani ma anche come possiamo sviluppare relazioni compassionevoli con tutte le altre creature con le quali dividiamo questo pianeta. Questo vuol dire lottare contro il capitalismo, nella forma dell’orrenda industria della produzione di cibo da animali“.
“Lottare contro questa forma di sfruttamento all’interno della produzione del cibo”, dice la Davis, implica il rendersi testimoni, e non più complici, delle condizioni della crudeltà verso gli animali. Esserne coscienti significa capire che ogni camion pieno di animali che incontriamo sull’autostrada non sta facendo una gita di piacere, ma porta questi animali al mattatoio dove saranno uccisi e macellati. La maggior parte della gente non si rende conto di mangiare degli animali, nè si rendono conto dell’enorme sofferenza che questo cibo crea. È lo stesso problema del razzismo e del sessismo: la gente è cresciuta in questo clima tossico di sfruttamento e dà per scontato, automatico, che se sei donna verrai prima o poi molestata sul lavoro, che sarai pagata meno e rischierai il posto se resterai incinta, che se sei di colore verrai bullizzato e forse pestato a sangue, che verrai scartato da alcuni posti di lavoro solo per il tuo colore della pelle.”
Per la Davis, questa cecità è connessa a una zona di confort, nata da un’educazione acritica e una forma di superficialità dilagante. “Penso che la mancanza di analisi critica su ciò che mangiamo dimostra per esteso come la comodità di pensiero diventa il modo primario in cui si vede il mondo. Non andiamo oltre quello che Marx chiama il valore scambio dell’oggetto – non pensiamo alle relazioni che questo oggetto incarna, non pensiamo a come è stato prodotto- sia che sia una bistecca, o i nostri vestiti o un iPad o la nostra educazione. Sarebbe davvero un atto rivoluzionario sviluppare l’abitudine di immaginare le relazioni umane e non umane dietro ad ogni oggetto che utilizziamo e che costituisce il nostro ambiente.”
Ha inoltre registrato un intervento per Vegans of Color in cui afferma che “Il cibo che mangiamo nasconde un’immensa crudeltà. Il fatto che possiamo sederci a un tavolo e mangiare un pezzo di pollo senza minimamente pensare alle condizioni terribili in cui è stato allevato e macellato è un segno di come il capitalismo ha colonizzato i nostri pensieri. È facile pensare come allo stesso modo, ci si possa sedere a un tavolo e nella comoda ignavia di consumisti-cittadini non attivi, e accettare incondizionatamente qualsiasi situazione che crea profitto per pochi e sofferenza per molti, animali, umani ed ambiente.” E infine conclude “Penso che ci sia una connessione tra il modo in cui trattiamo gli animali e il modo in cui creiamo delle gerarchie di importanza e dei rapporti di sfruttamento tra le persone. Basti pensare come chi di solito fa uso di violenza contro i più deboli è generalmente una persona violenta nei confronti degli animali. La mancanza di empatia è un campo di indagine in cui ci sarebbe moltissimo da parlare.”
Nata il 26 gennaio 1944 a Birmingham in Alabama, stato del sud razzista e segregazionista, diventò celebre negli anni ’60 e ’70 come attivista dei diritti civili degli afroamericani e delle donne, oltre che politica ed accademica.
La sua carriera di accademica comincia studi di filosofia presso la Brandeis University in Massachusetts, sotto la guida di Herbert Marcuse. Dopo la laurea all’Università della California si unisce alle Black Panters e si avvicina all’ideologia comunista. La sua partecipazione politica entusiasta le costa l’accusa di rapimento, cospirazione e omicidio per la morte del giudice Harold Haley, di alcuni giurati e del procuratore distrettuale impegnati in un processo contro tre detenuti militanti del movimento delle Pantere Nere il 7 agosto 1970. Scagionata e dichiarata innocente, riprende la sua attività politica concentrandosi sul problema delle carceri, delle origini sociali e razziali della detenzione di milioni di afroamericani negli istituti penitenziari statunitensi. La militanza nel Partito Comunista apportò al mondo di tutta la sinistra americana e internazionale il problema del razzismo, che fino ad adesso era completamente ignorato.
Scagionata con formula piena dalle accuse che l’avevano tenuta in cella, ricomincia il suo percorso di militanza, concentrando i suoi sforzi sul problema delle carceri, delle origini sociali e razziali della detenzione di milioni di afroamericani negli istituti penitenziari statunitensi.
La sua analisi lucida sui rapporti di forza nella società fornisce un contributo fondamentale alla costruzione di una teoria che allo stesso tempo spiega e dà gli strumenti per cambiare il mondo. Lo sfruttamento è alla radice dell’oppressione, in cui un’unica classe, la classe lavoratrice, allo stesso tempo subisce – e può combattere – razzismo e sessismo.
Ha insegnato nel dipartimento di History of Consciousness dell’Università della California a Santa Cruz, e diretto il Women Institute. Dopo aver lasciato il Partito Comunista, che comunque continua a sostenere idealmente, negli ultimi anni ha lottato contro la degenerazione del movimento afroamericano verso il fondamentalismo islamico (la Nazione Islamica di Louis Farrakhan, movimento islamista e maschilista, e al suo alleato New Black Panther Party, che hanno sostituito le laiche e progressiste Black Panthers). È stata inoltre una delle voci più attive contro l’insediamento di Donald Trump alla presidenza, per i toni razzisti, sessisti e senza dubbio basati stereotipi della sua propaganda politica.
È stata celebrata dalla cultura pop: John Lennon e Yoko Ono le hanno dedicato Angela nel disco Some Time in New York City e i Rolling Stones Sweet Black Angel. In Italia, inoltre, il Quartetto Cetra nel 1971 le dedicò scritta da Tata Giacobetti ed Antonio Virgilio Savona, andata in onda nel programma televisivo Stasera sì, quando ancora in Italia la questione del razzismo e dei diritti civili era completamente sconosciuta. Francesco De Gregori nel ’74 cita Angela Davis nella sua canzone Informazioni di Vincent, contenuta nel cosiddetto “album della pecora” (per la fotografia in copertina): «Guardo le mie povere cose, una vecchia foto di Angela Davis, muore lentamente sul muro, e a me di lei, non me n’è fregato niente, mai». Angela Davis è inoltre stata rappresentata nella parte sinistra del dipinto I funerali di Togliatti di Renato Guttuso, insieme a molte figure del comunismo internazionale, tra cui l’autore stesso, Elio Vittorini e Jean-Paul Sartre.
Fonte: www.promiseland.it
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Pasquale
dice:l’antirazzismo è l’idea più stupida al mondo. Anzi non è neanche un’idea, magari lo fosse, questi non hanno alcun pensiero, è il nulla assoluto che reagisce emotivamente a delle ingiustizie che non c’entrano nulla col razzismo ma con la gestione del potere. Chiunque ha un potere, grande o piccolo, cerca di mantenerlo in una società di tipo capitalistico o comunque competitiva che non è organizzata in forma di comunità in cui tutto è nella comunità stessa e dei suoi menbri. L’antirazzismo nella sua cecità diventa complice inconsapevole di chi è al vertice della piramide del potere che ci manipola gestendo a suo favore e a nostro danno queste nostre emotività e convinzioni.