Prosciuttopoli: si tratta di una vera e propria bomba mediatica quella che ha colpito il settore del prosciutto Dop e Igp. Il prosciutto crudo finito al centro dello scandalo, riguarda il prosciutto di Parma e San Daniele. Secondo l’indagine, per anni (dal 2014) i consumatori italiani non avrebbero consumato né l’uno né l’altro: i prosciutti appartenevano a suini nati con il seme di Duroc danese, razza non prevista dal disciplinare dei consorzi dei due marchi. Le indagini sul prosciutto di Parma sono state portate avanti dalla procura di Torino, mentre quelle sul prosciutto San Daniele, della procura di Pordenone.
Coinvolti anche gli enti certificatori che avrebbero dovuto monitorare e controllare la produzione: il Ministero delle Politiche agricole ha commissariato per sei mesi dal 1° maggio 2018, l’Istituto Parma Qualità e l’Ifcq Certificazioni che svolgono, su autorizzazione del ministero, le funzioni di controllo sulle filiere di diversi salumi e formaggi Dop e Igp, tra cui appunto il Prosciutto di Parma e quello San Daniele. Il commissariamento è stato disposto dall’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari del ministero.
La maxi-frode è stata scoperta dopo un anno di indagini coordinate dalla Procura di Torino. Quali sono i numeri? Stiamo parlando di una truffa che fino ad ora ha coinvolto 300 mila prosciutti per un valore al consumo di circa 90 milioni di euro e 140 allevamenti di maiali posti sotto inchiesta. Gli allevatori coinvolti rappresentano la maggioranza dei produttori del circuito Dop in merito alla produzione di prosciutti tra Piemonte, Emilia Romagna Lombardia e Veneto.
L’accusa è dunque di frode in commercio, contraffazione dei marchi e truffa ai danni dell’Unione europea aggravata per l’utilizzo di tipi genetici non ammessi dai Consorzi. Dall’analisi svolta sui fatti, risulta che l’inseminazione con il seme di verri di Duroc danese sia economicamente vantaggiosa perché i maiali arrivano ai 160 kg previsti per la macellazione dopo 8-8,5 mesi, e non dopo 9-10 come per le razze previste nel disciplinare. Il vantaggio per gli allevatori è inequivocabile: meno mangime da somministrare ai maiali e minor lavoro nella gestione. I consorzi d’altra parte si sono dichiarati vittime degli allevatori: risulta difficile però pensare che fossero all’oscuro di tutto. Nella linea produttiva allevamento – macello – prosciuttificio, sia il macello che il prosciuttificio non sembravano avere motivi economici per non accettare il sistema considerato che la resa della carcassa risulta essere maggiore e i prosciutti più magri e con meno grasso sono più graditi dal mercato.
La contraffazione alimentare in Italia continua ad essere un problema grave. Di recente era stata la Coldiretti a lanciare l’hashtag #stopcibofalso per chiedere ufficialmente all’Europa “di rendere obbligatoria l’indicazione di origine degli alimenti”; la stessa Coldiretti però non si è pronunciata né ha dato notizia sui suoi canali ufficiali della vicenda Prosciuttopoli che per i suoi numeri, risulta essere un caso senza precedenti che riguarda il 10% della produzione nazionale.
Una vergogna a danno dei consumatori all’interno di un ambito di produzione, quello della carne, che si macchia continuamente di reati e di scandali. Ci teniamo a ricordare che il Consorzio del prosciutto di Parma è stato al centro di una inchiesta condotta tra febbraio e giugno 2017 dal team investigativo dall’associazione Essere Animali sulla “qualità della vita” dei maiali in otto allevamenti: le telecamere hanno documentato una situazione terribile con animali in stato di grave sofferenza e situazioni di maltrattamento e abusi indicibili a cui erano sottoposti. L’indagine e i video che testimoniano questo orrore, sono reperibili sul sito ufficiale dell’associazione.

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