Quattrocentomila galline

Promiseland -

Quando ti fanno entrare in quei capannoni credi di sapere ciò che ti aspetta. All\’improvviso, ancora accecato dal sole all\’esterno, ti ritrovi in un ambiente buio, assordato dal grido di migliaia di galline. Con gli occhi ancora appannati dai flash solari, inizi a scorgere uno spettacolo atroce. Pensavi che la gente non poteva essere tanto […]

Quando ti fanno entrare in quei capannoni credi di sapere ciò che ti aspetta. All\’improvviso, ancora accecato dal sole all\’esterno, ti ritrovi in un ambiente buio, assordato dal grido di migliaia di galline. Con gli occhi ancora appannati dai flash solari, inizi a scorgere uno spettacolo atroce. Pensavi che la gente non poteva essere tanto criminale. Almeno fino a quel punto. Ti ritrovi di fronte a corridoi lunghi decine di metri le cui pareti sono, tante, anzi tantissime gabbie attaccate l\’un l\’altra, così per diversi piani.

Da quelle gabbie, illuminate da lampade fioche che pendono dall\’alto, escono decine di migliaia di piccole teste perse in un macabro ritmico e folle becchio. Decine di miglia, addirittura sono centomila. Una cittadina in pratica. Un altro brivido ti percorre mentre pensi che negli altri tre capannoni ti attende lo stesso scenario di crudeltà. In tutto le galline sono quattrocentomila! Nella penombra lo spettacolo appare, se possibile, ancora più agghiacciante, tanto è il disagio di fronte a questa scena che i freddi numeri non possono rendere l\’idea. A meno che i numeri non siano quelli delle dimensioni delle gabbie, ognuna misura 50 per 70 cm in cui le galline sono costrette a vivere in sei. Numeri molto più demoniaci del 666.

Le vedi mentre si accalcano una sopra l\’altra per raggiungere il mangime, ipnotizzate dalle luci che le costringono a cercare disperatamente, come se fosse una droga di cui non possono fare a meno, il becchime nelle mangiatoie di fronte alle celle. Il fronte della gabbia è troppo stretto perchè c\’entrino tutte e sei. Quindi si ammassano l\’una sull\’altra, istericamente, producendo quel terribile concerto di grida e battiti d\’ali che ti dà l\’idea della loro disperazione. Del loro dolore. Puoi toccarla la loro sofferenza.

Le vedi costrette contro natura a combattere tra loro per raggiungere un premio impostogli dai loro aguzzini. Una manciata di granaglie. Allora ti vengono in mente strani pensieri e dubbi. Inizi a chiederti cosa pensano quei poveri animali, centomila! Costrette sin dalla nascita a quella vita; chissà se si rendono conto che l\’esistenza disegnata per loro dalla natura non era quella di soffrire imprigionate in sei dentro una gabbia di 50 per 70 cm fino alla morte. Magari anche odiandola per il destino che gli ha serbato. Oppure si rendono conto che la natura aveva altri progetti per loro e che è il suo figlio prediletto, l\’uomo, ad averle condannate ad una morte lenta quanto atroce.

Ti domandi poi cosa provano veramente a passare tutta la loro vita immobili oppure a scontrarsi l\’un l\’altra perchè nella gabbia non c\’è spazio per tutte. Tutta la vita costrette a mangiare perchè ipnotizzate da una luce e il resto del tempo immerse nel buio ammassate l\’una sopra l\’altra. Le zampe martoriate dal continuo contatto con le lamiere della gabbia, il collo martoriato dalle beccate delle altre compagne di cella. Sempre nell\’attesa che le luci si riaccendano per ricominciare a mangiare. Fare l\’uovo. Poi di nuovo buio, sempre immobili.

Questa la vita delle galline ovaiole per un anno e qualche mese. Dopo la loro produttività cala e quindi vengono avviate verso il macello. Tutte e quattrocentomila. Allora i capannoni tornano silenziosi. Ma ancora, tra quelle gabbie adesso vuote, rimbomba l\’eco delle urla e dello scalpitio di ali che le aveva riempite di dolore fino a poco tempo prima. Sono morte tutte e quattrocentomila, liberate dal supplizio della prigionia cui erano state condannate. Ma nemmeno dopo un mese quei corridoi sinistri torneranno a vivere della morte che aspetta altre quattrocentomila galline. Come le altre condannate a passare la propria esistenza cadaverica per soddisfare il nostro palato sempre più ingordo. Adesso probabilmente sono già in viaggio, bruciate dal sole o frustate dal freddo ammassate nei rimorchi dei camion.

Verso l\’atroce destino che vivono in ogni momento della loro vita. La loro colpa è di partorire un uovo per essere madri.

Testo di Andrea Boccalini

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