ricci di mare sardegna

Sardegna: stop alla pesca di ricci per 3 anni per salvare la specie

Il divieto rimarrà in vigore fino al 2024 per permettere alle specie di ripopolarsi. Una misura necessaria, che mette in moto una serie di riflessioni sullo sfruttamento dei mari da parte dell'uomo.

La Sardegna impone lo stop alla pesca e alla vendita dei ricci di mare: a partire dal 22 gennaio e per tre anni, entrerà in vigore il fermo biologico che rientra nella legge regionale 17 del 22 novembre, approvato per consentire il ripopolamento delle specie, messe a rischio da anni di pesca intensiva e talvolta illegale. In particolare, il divieto riguarderà gli esemplari di Paracentrotus lividus, la specie di ricci più comune – e per questo, più minacciata – nel Mediterraneo.

La Sardegna vieta per tre anni la pesca di ricci di mare

Non è un caso che il divieto riguardi proprio la Sardegna, dove i ricci di mare fanno parte da sempre della tradizione culinaria e dove il mercato di questi prodotti è tristemente florido. A onor del vero, nella regione erano già in vigore delle norme a salvaguardia delle popolazioni di ricci, ma che evidentemente si sono dimostrate insufficienti per la loro tutela. “Un fermo necessariospiega Gabriella Murgia, assessora dell’Agricoltura ed esponente della Giunta Solinas, che ha approvato le restrizioni – per consentire il recupero degli stock e la ricostituzione della risorsa nel nostro mare territoriale, messa a rischio dal massiccio prelievo effettuato negli ultimi anni”.

I mari sono al collasso

La necessità di un fermo alla pesca per consentire il ripristino delle popolazioni minacciate è l’emblema del punto di non ritorno a cui ci stiamo avvicinando. Siamo abituati a pensare al nostro impatto sui mari e sugli oceani in relazione alle tonnellate di rifiuti di plastica che vengono disperse ogni giorno, ogni ora e ogni minuto nelle acque di tutto il mondo, ma c’è molto di più. Come denuncia Seaspiracy, documentario disponibile su Netflix sulla conservazione degli oceani e sulle conseguenze della pesca intensiva, da qualche decennio i mari affrontano una devastazione senza precedenti, che non accenna a fermarsi.

I mari non sono solo l’habitat di migliaia di specie animali e vegetali, ma sono essenziali anche per la nostra sopravvivenza: basti pensare che producono la metà dell’ossigeno che respiriamo, mentre assorbono circa un terzo delle emissioni di gas inquinanti create dall’uomo. In più, dagli anni ’60, sono stati fondamentali per regolare la temperatura della Terra, assorbendo il calore in eccesso dovuto alle attività umane.

L’uomo, invece, è stato in grado di distruggere in pochi decenni il 29% delle specie ittiche commerciali; uccidiamo 650 mila animali marini ogni anno tra balene, delfini e foche, massacrando 73 milioni di squali all’anno (ben 30 mila ogni ora) per la loro carne o “per errore”.  La distruzione degli ecosistemi acquatici porta dunque con sé un pericolo per la sopravvivenza di tutte le specie, oltre ad avere un risvolto etico che non possiamo più ignorare.

Laura Di Cintio


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