Riforma PAC 2020: perché, di fatto, l’Europa sosterrà ancora gli allevamenti intensivi?

Nonostante la svolta "green" che avrebbe dovuto riguardare le scelte politiche dell'Europa nel prossimo futuro, la riforma della Politica Agricola Comune continuerà a finanziare gli allevamenti intensivi - sebbene con una minima possibilità di cambiamento - in netto contrasto con il concetto di sostenibilità ambientale.

Il voto del Parlamento Europeo è arrivato la scorsa settimana, deludendo le aspettative di coloro che avrebbero voluto una riforma della Politica Agricola Comune (PAC) in linea con le istanze ambientali che chiedono sostenibilità e politiche “green”. Con il voto è stata decisa la gestione, per i prossimi sette anni, di un fondo pubblico di circa 400 miliardi di euro (un terzo dell’intero bilancio UE) destinati a finanziare le attività agricole in Europa. Che cosa è cambiato rispetto alla riforma precedente della PAC, avvenuta nel 2013, con l’intento promuovere l’innovazione e l’agricoltura sostenibile? Niente, tanto che molti parlano di un compromesso al ribasso, che cancella il Green Deal – il piano per rendere l’Europa a zero emissioni – e la strategia Farm to Fork, che ha l’obiettivo di rendere più sostenibile la catena agroalimentare europea.

Di particolare rilevanza è la questione degli allevamenti intensivi, sollevata da diverse associazioni animaliste e ambientaliste, dal momento che queste realtà continueranno a essere finanziate con i fondi messi a disposizione dall’Europa. Una misura decisamente non in linea con la lotta al cambiamento climatico, dal momento che di fatto prevede di continuare a finanziare agricoltura e allevamenti intensivi a discapito dei piccoli agricoltori più sostenibili. Il motivo è legato al fatto che con la nuova PAC si fa riferimento al concetto di benessere animale, che prima non era preso in considerazione. Solo chi dimostrerà di rispettare il benessere degli animali potrà ricevere i finanziamenti, e questo è considerato un passo avanti rispetto alla politica precedente.

Il punto dunque è comprendere cosa si intenda per “benessere animale” e soprattutto quanto e come le leggi che lo tutelano vengano rispettate in Europa. Partiamo col dire che dal nostro punto di vista (e non solo), il concetto di allevamento intensivo è opposto a quello di “benessere”, perché la privazione della libertà e lo sfruttamento non possono essere considerati condizioni di vita dignitose per nessun essere vivente. Detto questo, bisogna aggiungere che la normativa europea sul benessere animale negli allevamenti intensivi è lacunosa e debole: la tutela degli animali è subordinata alle regole della produzione, ogni individuo ha valore fintanto che è in grado di generare profitto; il “benessere animale” è utile a chi produce, perché gli animali “felici” stanno bene, e per questo producono di più e meglio.

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La differenza rispetto al passato, secondo chi ha votato a favore della riforma, sarebbe quindi tutta legata alla possibilità di cambiare le leggi che tutelano il benessere animale, definendo standard più rigidi e limitando il numero delle strutture che ricevono i finanziamenti. Il problema è che la modifica delle leggi in vigore, ammesso che avvenga, non è attualmente in programma e questo significa che i finanziamenti verranno erogati fino a quando non verrà modificata la normativa e non ci sarà la facoltà di decidere quali strutture non hanno diritto al denaro.

Tra i pochi europarlamentari italiani ad aver votato contro la riforma della PAC c’è Eleonora Evi, del Movimento 5 Stelle, che in un’intervista ha dichiarato: “Tutti i partiti italiani che siedono al Parlamento sono per il mantenimento dello status quo. Parliamo di una riforma che vedrà il 60% delle risorse a disposizione impiegate al sostegno al reddito degli agricoltori, e quindi a nessun tipo di misura ambientale in ottica “green”. Solo il 30% dei fondi a disposizione potrà essere impiegato per sostenere e ampliare i cosiddetti ecoschemi; il punto è capire che cosa realmente potrà essere sostenuto e ampliato con queste risorse”.

Allevamenti intensivi: un disastro ambientale

Il fatto che quella che avrebbe dovuto essere una politica volta alla sostenibilità ambientale continui a finanziare gli allevamenti intensivi è a dir poco un ossimoro, specialmente in un momento di particolare consapevolezza sul cambiamento climatico. Di recente un nuovo studio, l’ultimo di una lunga serie, ha confermato questa affermazione: parlando dell’Italia, l’Università della Tuscia ha diffuso dati che mostrano chiaramente come gli allevamenti – ed è un dato sottostimato – consumano da soli il 39% delle risorse naturali a disposizione sul territorio agricolo italiano.

Gli allevamenti sono inoltre responsabili dell’inquinamento di aria, acqua e suolo, con dati sempre più allarmanti e in crescita costante. L’unica alternativa è una decisa svolta plant-based al settore alimentare, in termini di consumo e di produzione che però, con la nuova PAC, non sembra affatto essere favorita. Come Osservatorio, ogni giorno lavoriamo per diffondere consapevolezza e informazione anche rispetto a queste tematiche e non possiamo che esprimere il nostro disappunto per la scelta di una linea di condotta in netto contrasto con le evidenze scientifiche più recenti.

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