Era il 2017 quando fu pubblicato un articolo che accusava la scelta vegan di non essere etica né sostenibile, sulla base di un presunto e smodato consumo di alimenti come quinoa, anacardi, avocado e soia. Alimenti, questi, che sono da allora uno dei baluardi su cui si fonda l’attacco alla scelta vegan alla ricerca di fallacie e ipocrisia. Avocado e quinoa, per esempio, compiono senza dubbio viaggi lunghissimi per approdare sulle tavole di tutto il mondo, con un impatto ambientale non trascurabile. Ancora, la loro coltivazione coinvolge a volte metodi disumani che spesso vanno a discapito delle popolazioni locali. Il punto, però, è che analizzare la questione da questa prospettiva non ha senso: ecco perché.
Partiamo dall’aspetto più semplice, immediato e sensato della questione: sarà mica che tutto il consumo mondiale degli alimenti “insostenibili” sia imputabile ai vegani, no? Che ci piaccia o no, i vegani sono ancora una minoranza rispetto alla totalità della popolazione mondiale e sicuramente il loro numero – per quanto in crescita – non è sufficiente per alimentare e sostenere da solo la richiesta di alimenti come avocado, quinoa, anacardi, mandorle e soia.
Anzi: per quanto riguarda la soia, ad esempio, ormai è risaputo che la sua produzione abbia ben poco a che fare con il consumo da parte di vegani o vegetariani. I dati evidenziano che “più di tre quarti (77%) della soia prodotta a livello globale viene somministrata al bestiame per la produzione di carne e latticini. La maggior parte del resto viene utilizzata per i biocarburanti, l’industria o gli oli vegetali. Solo il 7% della soia viene utilizzato direttamente per prodotti alimentari destinati all’alimentazione umana come tofu, latte di soia, fagioli edamame e tempeh. L’idea che gli alimenti spesso promossi come sostituti della carne e dei latticini stiano guidando la deforestazione, è un malinteso comune.”
“Vegani VS onnivori” non è la soluzione al problema
Chiarito questo punto, occorre fare una riflessione più profonda: la lotta tra “buoni e cattivi” non è utile e nemmeno necessaria, anche e soprattutto in questo contesto. Chiunque scelga di diventare vegan non si erge su un piedistallo fatto di perfezione e superiorità nei confronti del resto del mondo: come abbiamo avuto modo di dichiarare più volte, la scelta vegan è la migliore dal punto di vista etico e ambientale ed è con questa convinzione che questa strada viene intrapresa.
Nessun “noi contro voi”, nessun dito puntato tra schieramenti opposti: semplicemente, dovendoci tutti alimentare per sopravvivere (e questo è un dato di fatto), i vegani scelgono l’opzione più etica e sostenibile. Questo però non significa che il consumo di prodotti vegetali sia neutro o non impattante: come qualsiasi produzione su scala industriale, anche quella di prodotti vegetali ha un impatto sul Pianeta e sui suoi abitanti. Il punto è che chi sceglie un’alimentazione plant-based ha già fatto un enorme passo avanti verso una riduzione del proprio impatto etico e ambientale. E anche se certamente esistono margini di miglioramento, la strada è spianata.
Ma in che modo puntare il dito contro i vegani riduce l’impatto etico e ambientale del consumo di carne e derivati animali? Cercare i difetti negli altri ignorando i propri, non è mai la scelta migliore. Ammesso che l’alimentazione plant-based comprenda alimenti impattanti e non etici, siamo sicuri che questi possano facilmente essere sostituiti o eliminati, e il problema sarebbe risolto. Ancora una volta, il benaltrismo – ovvero la scelta di eludere un problema sostenendo che ce ne sono altri, “ben più gravi”, da affrontare – non porta da nessuna parte.
Da qualche parte bisogna pur cominciare, e la scelta vegan è un ottimo primo passo; lo stesso non si può dire dell’immobilismo di chi giudica gli altri senza far niente.
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