Mentre la scelta vegan affonda le sue radici nell’antispecismo e su convinzioni di carattere etico, negli ultimi anni sempre più studi scientifici autorevoli hanno sottolineato i suoi vantaggi anche dal punto di vista ambientale. La domanda, quindi, sorge spontanea: si può essere ambientalisti senza essere vegani, continuando a mangiare carne e derivati animali?
Dal nostro punto di vista ci sono molti aspetti da valutare, ma una cosa è certa: l’impatto delle diete plant-based sull’ambiente è irrisorio, se paragonato a quello degli alimenti di origine animale. A confermarlo ci sono sempre più studi scientifici, che analizzano non solo le emissioni di gas inquinanti, ma anche l’uso delle risorse idriche e del suolo.
Alimentazione veg e onnivora a confronto: l’impatto ambientale
Partiamo da un presupposto: una dieta completamente vegetale è più sostenibile perché converte in modo più efficiente le proteine in calorie consumate dalle persone. Questa affermazione si può poi scomporre in un’analisi approfondita di vari aspetti della questione, arrivando a una conclusione innegabile: un’alimentazione plant-based impatta meno sull’ambiente di una a base di derivati animali.
Parlando di emissioni di gas serra, uno studio dell’Università di Leeds (UK), afferma che chi consuma carne, produce il 59% di emissioni in più rispetto a chi non ne mangia. Prendendo in analisi l’impronta sul Pianeta e le emissioni di gas serra necessarie per la produzione di oltre 3000 alimenti diversi, stilando poi dei piani dietetici che comprendessero o meno derivati animali e coinvolgendo persone con fabbisogni alimentari diversi. Dallo studio è emerso che alla carne si riconduce il 32% delle emissioni di gas serra legate al cibo, mentre ai prodotti lattiero-caseari il 14%. Anche tè, caffè e alcool contribuiscono, insieme, al 15% delle emissioni di gas serra.
“La carne è il motore principale delle emissioni legate alla dieta” precisano però gli autori dello studio, specificando come le persone che seguono diete onnivore siano responsabili del 59% di emissioni in più rispetto a chi segue stili di vita vegetariani. Una percentuale che, se rapportata alle emissioni prodotte da chi segue una dieta 100% plant-based è destinata a salire ulteriormente.
A questo si aggiunge che l’agricoltura animale utilizza fino al 70% di tutti i terreni agricoli: a dirlo è un report della FAO, che sottolinea come gran parte di questi terreni siano dedicati alla coltivazione di mais, frumento e soia che alimentano il bestiame. Non solo questi terreni potrebbero essere impiegati per produrre cibo destinato all’alimentazione umana, ma l’espansione incontrollata di queste minaccia la biodiversità e promuove la distruzione dell’habitat della fauna selvatica.
Focus on: allevamenti di bovini
Sebbene sia una caratteristica comune a tutta l’agricoltura animale quella di avere un impatto devastante sull’ambiente, è forse utile soffermarsi sugli allevamenti di bovini, considerati tra i meno sostenibili in assoluto.
Uno degli studi più imponenti mai realizzati sul tema impronta idrica è THE GREEN, BLUE AND GREY WATER FOOTPRINT OF FARM ANIMALS AND ANIMAL PRODUCTS.
Quello che emerge è che l’impronta idrica dei prodotti di origine animale è nettamente superiore a quella dei prodotti di origine vegetale. In particolare, l’impronta idrica della carne bovina è molto pesante: per produrre 1 kg di carne bovina occorrono 15415 litri di acqua. Occorrono inoltre:
- 8763 litri di acqua per un kg di carne di pecora,
- 5988 litri per un kg di carne di maiale,
- 4325 litri per un kg di carne di pollo,
- 3265 litri per un kg di uova,
- 1020 litri per un litro di latte.
Di contro, dallo studio emerge che occorrono – per esempio – solo 322 litri di acqua per produrre un kg di vegetali o 1644 litri per produrre un kg di cereali.
A questo si aggiunge che gli allevamenti di bovini sono una fonte non trascurabile di metano e protossido di azoto: gli animali ruminanti, a differenza degli altri, sono soggetti al processo di fermentazione enterica, che ha come risultato l’emissione di gas inquinanti. Questi, insieme alla produzione di enormi quantità di letame, influiscono negativamente sulla qualità dell’aria all’interno e vicino agli allevamenti, causando anche il potenziale degrado delle riserve idriche sotterranee.
Quindi, si può essere ambientalisti pur non essendo vegani?
Dati alla mano, la risposta è no: la scelta vegana è l’unica veramente coerente quando si parla di sostenibilità ambientale, in relazione alle scelte alimentari e in assoluto. Detto questo, è forse utile fare una riflessione che coinvolga un certo grado di consapevolezza sulle proprie scelte, alimentari e non.
Ha poco senso considerarsi ambientalisti escludendo l’alimentazione dalle proprie azioni concrete in termini di sostenibilità. Chiariamoci: chiudere il rubinetto mentre ci si lava i denti, preferire la doccia al bagno, spegnere le luci quando non servono e usare la bicicletta invece dell’automobile sono tutte azioni valide e utili, ma da sole non bastano per dirsi attivi per la salvaguardia dell’ambiente. Il rischio è risultare “ambientalisti a metà”. La produzione di alimenti di origine animale, nel suo insieme, ha un impatto devastante sul Pianeta e solo escludendo i prodotti derivanti da questa industria si può agire attivamente contro la crisi climatica.
Nonostante questo, sicuramente ogni passo – anche piccolissimo – verso la scelta plant-based è un’azione a tutela degli animali e dell’ambiente. Crediamo che la consapevolezza sia la vera chiave per il cambiamento e prendere posizione in questo senso può fare la differenza. Un passo alla volta è il modo migliore per arrivare alla meta.
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