Siti naturalmente inquinati

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Non si può sbagliare: quando l’incidenza del mesotelioma della pleura supera i valori normali allora si deve cercare il posto in cui si annida l’amianto. Così è stato in Piemonte per la Eternit di Casale Monferrato e così in altre regioni dove il rischio asbesto ancora oggi è molto alto, come Friuli Venezia Giulia, Liguria […]

Non si può sbagliare: quando l’incidenza del mesotelioma della pleura supera i valori normali allora si deve cercare il posto in cui si annida l’amianto. Così è stato in Piemonte per la Eternit di Casale Monferrato e così in altre regioni dove il rischio asbesto ancora oggi è molto alto, come Friuli Venezia Giulia, Liguria e Lombardia. All’inizio invece la storia di Biancavilla, paese in provincia di Catania, alle pendici dell’Etna, sembrava un vero rompicapo. Qui infatti non c’è traccia di complessi industriali o attività antropiche legate all’amianto. Eppure la mortalità per tumore della pleura raggiungeva nella zona valori anomali: una persona su mille, una ventina di casi in tutto dal 1982 al 1997 contro un’attesa pari allo zero per cento. Colpa dell’inquinamento ambientale, ovvero della presenza nella roccia di una fibra molto simile all’amianto: la fluoro-edenite. Un caso che non è unico in Italia, visto che anche in Basilicata nelle rocce verdi intorno alla zona di Lagonegro ci sono minerali di amianto con effetti simili sulla salute e da cui è meglio tenersi a distanza di sicurezza. Un caso analogo è stato trovato in Cappadocia (Turchia), in un paese in cui le abitazioni erano state scavate all’interno di grotte di tufo vulcanico.

“Il caso Biancavilla fu scoperto nel 1997, quando l’Istituto superiore di Sanità fu incaricato dal Ministero di indagare sull’incidenza anomala del mesotelioma della pleura tra gli abitanti della zona”, racconta Antonio Gianfagna del Dipartimento di Scienze della terra dell’Università “La Sapienza” di Roma, e scopritore della fluoro-edenite. “Sono state studiate le polveri disperse in aria, a terra e quelle degli intonaci, così si è arrivati all’esame del materiale di una cava di pietrisco lavico che tra gli anni Quaranta e Cinquanta veniva usato per l’edilizia locale. Era lì il minerale con gli effetti simili all’amianto. La sua presenza nelle strutture edilizie non era pericolosa di per sé, ma bisognava procedere con la messa in sicurezza dei luoghi da cui la fibra poteva disperdersi nell’aria: la cava e le strade non asfaltate soprattutto. Le procedure furono iniziate come se si trattasse di amianto, finché studi più approfonditi hanno rivelato che questa fibra rappresenta un nuovo minerale”. Molto simile a minerali di amianto come tremolite, actinolite, antofillite, amosite e crocidolite, la fluoro-edenite e appartiene invece al gruppo degli anfiboli. Di colore giallo, ha un’origine vulcanica e si è formato per cristallizzazione del magma. Ha una percentuale di fluoro molto elevata (il 4 per cento del totale), assente invece nei minerali contenenti l’amianto. Nel 2001, la Commission on New Minerals and Mineral Names (Cnmmn) dell\’International Mineralogical Association l’ha riconosciuto come minerale autonomo.

“Trattandosi di un minerale diverso, il caso di Biancavilla non poteva essere affrontato con gli strumenti offerti dalla legge per la bonifica dei siti contaminati da amianto”, spiega Gianfagna “anche se il rischio era lo stesso, soprattutto per il materiale in cava che poteva sollevarsi nell’aria con il vento”. Per la messa in sicurezza della cava è stata quindi applicata un’altra legge (n. 471 del 1999), che ha permesso di chiudere l’accesso alla zona e asfaltare le strade.

Anche la zona di Lagonegro è un caso di inquinamento ambientale non provocato da attività antropiche: “In Basilicata le rocce verdi sono formate da sostanze note ormai da tempo: sono due fibre, crisotilo e tremolite”, spiega Francesco Burragato del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università “La Sapienza” di Roma. “Il rischio che deriva da queste sostanze è per chi fa attività estrattive. Oppure per chi viene a contatto con il materiale depositato sulle strade interpoderali. Per gli intonaci invece l’uso è pressoché inconsistente. In questo caso si deve procedere con la messa in sicurezza delle località: per la zona di Lagonegro si devono evitare attività turistiche. Scoperta la pericolosità del materiale, si è passati alla messa in sicurezza del suolo: asfaltando le strade, informando gli agricoltori sull’argomento”. Il caso lucano a differenza di quello siciliano non è isolato: lo stesso materiale infatti è stato trovato nei pressi di Casale Monferrato, nella zona delle Montagne Rocciose in Usa e in base alla geomorfologia del suolo potrebbe trovarsi anche in Val d’Aosta.

Articolo di Paola Coppola

Tratto da: www.galileonet.it

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