Starbucks a Milano: 50 sfumature di caffè

La multinazionale americana ha fatto il suo esordio nel paese che più temeva al mondo: l'Italia. E si sta già preparando per il secondo locale! Culture del caffè a confronto.

Italian style: in piedi, dopo i pasti e in fretta. Uno shot, una “iniezione” di caffè denso.
American style: lentamente, in tazza grande, sorseggiando.
Due stili di consumo diversi si incontrano nella Reserve Roastery milanese.

Ha aperto da poco Starbucks a Milano, in Piazza Cordusio nel maestoso ex edificio delle poste centrali, vicino al duomo. Code chilometriche per entrare e bagno di folla per bere un caffè. Un locale di ben 2.300 metri quadri dove il caffè oltre che servito, viene anche tostato e distribuito. Quello di Milano è il terzo coffee shop Starbucks più grande del mondo insieme a quello di Siattle e di Shanghai. Il colosso americano ha dovuto necessariamente puntare tutto sull‘effetto “wow” per il suo ingresso nella capitale mondiale del caffè.

L’azienda, che lo scorso anno ha incassato 22,4 miliardi di dollari da quasi 29.000 locali sparsi in tutto il mondo, ha dichiarato: “Non è nostra intenzione insegnare all’Italia la cultura del caffè; è qui che è nata”. In effetti però, la filosofia di consumo è differente rispetto ai classici bar italiani; la stessa Liz Muller, chief design officer della multinazionale, ha precisato che l’intento è “offrire un’esperienza diversa da quella a cui le persone in Italia sono abituate, tra cui diverse tecniche di tostatura e uno spazio sedersi e rilassarsi.” Il menu offre bevande che raramente capita di trovare in una classica caffetteria italiana. Un modo nuovo di gustare un piacere noto e amato da tutti: in Italia secondo la Federazione italiana della ristorazione (FIPE) si consumano più di 6 miliardi di caffè all’anno.

La spazialità di questo luogo è una novità assoluta: la scelta di creare uno spazio mai visto prima, è in linea con la strategia di comunicazione dell’azienda americana che ha esaltato la novità al punto da dare l’impressione al cliente di visitare un museo piuttosto che entrare in un bar. Si vuole fare cultura sul mondo del caffè.

Viene servita pasticceria artigianale di alto valore e tutto ciò che si consuma, viene prodotto in loco. Un’intera area è dedicata alla Roastery vera e propria: una macchina centrale tosta il caffè 24 ore su 24. Il locale milanese infatti è diventato il nuovo headquarters europeo: qui altre alla torrefazione, si effettua anche il confezionamento e lo stoccaggio del caffè che poi verrà destinato ai punti vendita di alcune capitali europee.

Ma gli esercizi italiani sono preoccupati di questo esordio? I pareri sono contrastanti. I proprietari dei caffè nelle vicinanze confessano di essere in parte dubbiosi e in parte curiosi. L’offerta è totalmente diversa dal bar tradizionale italiano sia come progettazione degli spazi sia come consumo. Fipe intanto dispiega alcuni numeri: in Italia ci sono 150 mila bar che danno lavoro a circa 360.000 persone, un valore di più di 5 miliardi di transazioni commerciali ogni anno. Il bar è un format solido che non conosce crisi.
Sul sito web ufficiale della Fipe si commenta:

“Il bar mostra la sua solidità anche nella dimensione sociale. Con 2,4 esercizi per mille abitanti è, con tutta evidenza, l’attività a maggiore diffusione territoriale. Un bar è ovunque, persino sulla cima di una montagna. Su 8.092 comuni presenti in Italia soltanto 742 (9% del totale) non hanno un bar”.

Starbucks intanto ha annunciato una prossima apertura del secondo locale a Milano con un design molto più simile a quello tradizionale. Non ci sono indicazioni sulla data, ma molto probabilmente sarà inaugurata prima delle feste di Natale. E presto aprirà anche all’aeroporto di Malpensa.

Il bello delle culture che si incontrano è che si ha sempre da imparare l’una dall’altra: i locali italiani avranno modo di apprendere un modo diverso di valorizzare la propria offerta e Starbucks modulerà i suoi prodotti di punta come il Frappuccino e il caffè Americano sui gusti di un popolo molto esigente in fatto di caffè. Scopriremo se questa fusion modificherà le abitudini di consumo.


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