Il numero di americani che abbracciano una dieta plant-based è aumentato di quasi 9,4 milioni negli ultimi 15 anni: a rivelarlo è un’analisi di mercato condotta dall’istituto di ricerca Ipsos Retail Performance, esaminando tramite i dati di ricerca di Google la crescita Stato per Stato del trend dell’alimentazione vegana, dal 2004 al 2019. Per farlo, l’istituto di ricerca ha fatto uso di una mappa interattiva, che dimostra come l’interesse da parte dei consumatori per le diete a base vegetale negli Stati Uniti sia cresciuto nel tempo: il grado di attenzione per questa tipologia di dieta è rappresentato tramite una scala di colori, nella quale il rosso rappresenta l’interesse minimo e il verde l’interesse massimo.
Analizzando la mappa interattiva si nota come, anno per anno, la rappresentazione degli Stati diventi via via più tendente al verde, con 9,7 milioni di americani che adottano oggi una dieta a base vegetale contro i 290 mila di 15 anni fa. Ma cosa emerge più nel dettaglio? Secondo la ricerca, lo Stato con il maggiore interesse per la scelta vegan è l’Oregon, che per 12 anni sui 15 analizzati ha mantenuto il valore di ricerche più alto. A seguire troviamo Vermont, Washington e California. Al contrario, lo Stato i cui abitanti risultano meno propensi a scegliere una dieta plant-based è il Mississippi, seguito da South Dakota, Alabama e North Dakota.
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Secondo i dati, anche le tendenze politiche influenzano la scelta o meno di un’alimentazione a base vegetale: i primi 10 Stati per tendenza verso la scelta vegan risultano tutti in gran parte popolati da elettori democratici, mentre i 10 stati “meno vegani” hanno in gran parte elettori repubblicani. In generale, quello che si nota è che gli Stati che si trovano sulla costa nord-orientale e occidentale hanno mostrato per primi un certo interesse per il veganismo. Gli altri stati ne hanno seguito l’esempio a partire dal 2013, complice un aumento della consapevolezza rispetto alle scelte alimentari, insieme a una maggiore disponibilità di prodotti vegetali alternativi alla carne nei negozi e nei ristoranti.
Stati Uniti: pionieri della scelta plant-based?
Altre ricerche sono in linea con questa, e dimostrano come la diffusione della scelta plant-based negli Stati Uniti sia capillare e in continuo aumento: secondo un sondaggio effettuato qualche mese fa, quasi la metà della popolazione sceglie alimenti a base vegetale in sostituzione a latte vaccino, carne e uova. Sono soprattutto i giovani a guidare il cambiamento, e in particolare i cosiddetti Millennials, ovvero i nati tra il 1981 e il 1997.
Una situazione favorita anche dalla presenza massiccia di aziende che si occupano di prodotti a base vegetale, accanto ai “big” delle alternative plant based ai prodotti animali: non a caso sono americane due delle aziende che producono i 3 buger vegetali che stanno cambiando il mondo. Sì, perché gli Stati Uniti possono contare sulla presenza di start up e grandi investitori in grado di sviluppare nuovi prodotti ad altissimo contenuto tecnologico tanto che, secondo le previsioni, dal 2020 gli USA daranno il via libera alla carne coltivata. Il settore delle alternative vegetali è quindi fiorente, anche dal punto di vista lavorativo: l’industria alimentare che si occupa di questi prodotti ha creato 55.634 posti di lavoro ad alto salario negli Stati Uniti, secondo i dati rilasciati dal gruppo commerciale Plant Based Foods Association (PBFA). In media, i posti di lavoro nel settore sono più alti e toccano quota $ 59.300, circa $ 12.500 in più rispetto al reddito americano medio.
In questo contesto è evidente come anche per le aziende “tradizionali” il cambiamento sia inevitabile: da una parte abbiamo esempi di conversione della produzione – ormai un business consolidato – come la Giacomazzi Diary, il più antico caseificio della California che ha abbandonato la produzione di latte vaccino per avviare un nuovo business basato sulla coltivazione di mandorle. D’altra parte ci sono anche aziende come la Dean Foods, il più grande produttore di latte americano, costrette a dichiarare fallimento: di fronte a un calo vertiginoso della domanda dei propri prodotti, il gigante del latte ha visto in suoi profitti crollare e ha dovuto chiudere i battenti.
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