“Stop the veggie burger ban”: al via la campagna per chiedere all’UE la tutela dei prodotti vegetali

In questi giorni si attende l'esito della decisione del Parlamento europeo, che potrebbe comportare il divieto di usare in etichetta termini come "salsiccia" o "bistecca" per i prodotti vegetali, ma anche qualsiasi riferimento all’industria lattiero-casearia, come “cremoso” o “sostituto vegetale del latte”. Per questo è stata lanciata la campagna "Stop the veggy burger ban", chiedendo all'Europa la tutela della trasparenza in etichetta.

La restrizione contro i prodotti vegetali potrebbe presto diventare realtà in Europa: se il Parlamento voterà in favore degli emendamenti 165 e 171, espressioni come “salsicce vegane” o “burger vegano” potrebbero essere vietate in tutta Europa. Naturalmente parliamo di un divieto dal punto di vista commerciale, che riguarderebbe le etichette alimentari e di certo non il linguaggio quotidiano, ma che risulterebbe comunque un passo indietro rispetto alla tutela delle informazioni date al consumatore. Sì, perché una delle ipotesi è che i burger vegetali possano diventare “dischi vegetali” e le salsicce “tubi”, ed è chiaro come la trasparenza in etichetta sarebbe un lontano ricordo.

A sostenere l’approvazione del divieto sono le organizzazioni europee del settore zootecnico, che parlano di “abuso delle denominazioni della carne”, affermando che l’uso improprio di termini legati ai prodotti di origine animale per indicare alimenti plant-based possa trarre in inganno i consumatori. Coldiretti sostiene perfino che 9 consumatori su 10 comprino alimenti vegetali per errore, indotti proprio da diciture come “salsicce vegan” o “bistecche di soia”.

Invece ASSITOL, l’Associazione italiana dell’industria olearia, si schiera insieme ad altre associazioni contro l’approvazione di questi emendamenti. “Non vogliamo farne una campagna ideologica – afferma Giuseppe Allocca, presidente del Gruppo condimenti spalmabili di ASSITOL – è però evidente che i consumatori conoscono perfettamente il significato di questa terminologia e scelgono in piena consapevolezza. Semmai, l’uso di questi termini ha un unico scopo: aiutare il pubblico a comprendere con maggiore facilità questa categoria di prodotti, specificando, ad esempio nel caso di denominazioni casearie protette, che si tratta di alternative vegetali”. Non a caso, secondo i dati della Commissione Europea, questo settore è cresciuto dell’11% nell’ultimo anno. Vietare queste denominazioni – continua Allocca – sarebbe una scelta del tutto sproporzionata rispetto all’obiettivo, condivisibile, della corretta comunicazione di prodotto. Il nostro auspicio è che si possa lavorare, in Italia e in Europa, per una seria informazione al consumatore, lontana da pregiudizi e prese di posizione ideologiche”.

Secondo un sondaggio condotto dall’organizzazione dei consumatori BEUC nel 2019 su intervistati provenienti da 11 paesi dell’UE, risulta che la maggior parte degli europei non è preoccupata per le denominazioni” utilizzate per i prodotti a base vegetale – il 42,4% ritiene che questi nomi dovrebbero essere consentiti a condizione che i prodotti siano chiaramente etichettati come vegetariani, il 26,2% non vede alcun problema nell’usare tali nomi.

Meat sounding: al via la campagna “Stop the veggy burger ban”

Crediti foto: Essere Animali

La questione è articolata e complessa e ha visto una presa di posizione netta da parte di alcune associazioni nonché di aziende alimentari che lavorano a livello internazionale, con il lancio della campagna Stop the Veggie Burger Ban. Lanciata da Proveg e dal Good Food Institute, con il sostegno della European Alliance for Plant-based Foods (ENSA), questa petizione chiede al Parlamento Europeo di non accettare il divieto proposto per gli hamburger “veg”, proprio a tutela del consumatore. Tra le associazioni che hanno aderito alla campagna c’è anche Essere Animali, che in una lettera indirizzata direttamente agli europarlamentari impegnati nel voto, dichiara:

È importante notare che questi termini hanno uno scopo descrittivo che aiuta a comprendere la forma, la funzione e il sapore degli alimenti. La misura restrittiva aggiuntiva contenuta nell’emendamento 171 non è solo contraria all’evoluzione della domanda dei consumatori, ma ancora una volta viola il principio di proporzionalità. In realtà, l’utilizzo di questi termini per indicare prodotti di derivazione vegetale aiuta i consumatori a compiere scelte consapevoli, indicando chiaramente al contempo che il prodotto non contiene ingredienti di origine animale. L’imposizione di ulteriori restrizioni all’uso di tali termini costituirebbe un’ingiustificabile barriera nei confronti dello sviluppo e dell’espansione di un settore
alimentare innovativo nell’Unione Europea.

L’associazione aggiunge inoltre che l’approvazione di tali emendamenti sarebbe in contraddizione con la strategia Farm to Fork, che stabilisce la necessità per i consumatori europei di andare verso un’alimentazione a base vegetale per una questione di sostenibilità. In più, ostacolerebbe l’espansione del mercato alimentare vegetale, che ultimamente ha visto un’accelerazione dei consumi senza precedenti, offrendo importanti opportunità agli agricoltori dell’UE e all’industria alimentare europea. Tra le aziende che hanno dato il proprio sostegno alla campagna “Stop the veggy burger ban” non solo Beyond Meat, Ikea e Oatly, ma anche l’italiana Food Evolution, che propone tre tipologie di prodotti alternativi alla carne conformi allo standard VEGETALOK.

In attesa dei risultati del voto, è importante fare una riflessione rispetto alla reale possibilità che terminologie ormai usate nel linguaggio quotidiano per fare riferimento a prodotti specifici, possano davvero trarre in inganno il consumatore. È realmente possibile che 9 persone su 10, dopo un giro al supermercato, tornino a casa con delle bistecche di soia convinti di aver acquistato delle bistecche “vere”, o che mettano nel carrello delle salsicce vegetali al posto di quelle animali? Dal nostro punto di vista no, così come è improbabile che qualcuno scambi del burro di arachidi per un derivato del latte o del latte detergente per un prodotto alimentare.

Innanzi tutto per una questione logistica: il più delle volte i prodotti vegetali sono collocati in un apposito reparto segnalato con tanto di cartelli, ben lontani dai prodotti analoghi di origine animale; è quindi praticamente impossibile uno scambio accidentale. In più, basta l’aggettivo “vegetale” o “vegan” a fugare qualsiasi dubbio, se mai ce ne fosse realmente bisogno. Il punto è proprio questo: non ce n’è bisogno, perché gli acquisti di prodotti vegetali aumentano grazie a consumatori consapevoli e informati, non “per sbaglio”, e questo forse inizia a preoccupare seriamente l’industria della carne.

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