Ogni persona che vive in un Paese che fa parte del G7 – quindi Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti – causa ogni anno la perdita di quasi quattro alberi, molti dei quali nelle foreste tropicali che ospitano la fauna selvatica. Il motivo? La richiesta e il consumo di prodotti come caffè, cioccolato, olio di palma e carne. A rivelarlo è uno studio pubblicato di recente sulla rivista scientifica Nature Ecology and Evolution, e realizzato per mappare il quadro della deforestazione a livello globale associata al commercio internazionale.
I dati sono inequivocabili: anche se il Nord America e l’Europa sono attivi per cercare di compensare la perdita delle foreste all’interno dei propri territori, gli sforzi per proteggere le foreste nel sud del mondo non sono sufficienti. In generale, si rileva che dal 2001 al 2015, i paesi ricchi e le nuove potenze economiche come Cina e India hanno diminuito sensibilmente l’impatto sulle foreste nel proprio territorio; di contro, è aumentata la deforestazione legata ai loro modelli di consumo in altre zone del mondo. Basti pensare che, secondo la ricerca, più del 90% dell’impatto sulle foreste di cinque paesi del G7 – Regno Unito, Giappone, Germania, Francia e Italia – colpisce paesi stranieri, e la metà le zone tropicali.
Secondo gli esperti, la richiesta di cioccolato (e quindi di cacao) nel Regno Unito e in Germania è un importante motore della deforestazione in Costa d’Avorio e in Ghana, mentre la domanda di carne di manzo e soia negli Stati Uniti, nell’Unione Europea e in Cina provoca la distruzione delle foreste in Brasile. Il consumo di caffè in Italia, negli Stati Uniti e in Germania è una delle cause principali della perdita di foreste nel Vietnam centrale, mentre la domanda di legname in Cina, Corea del Sud e Giappone provoca la perdita di alberi nel Vietnam settentrionale. Non bisogna dimenticare che molte foreste, oltre a rappresentare i “polmoni verdi” del mondo – contribuendo ad assorbire i gas inquinanti prodotti dalle attività umane – sono anche punti caldi della biodiversità, essendo l’habitat naturale di numerose specie animali e vegetali.
Deforestazione, biodiversità e pandemie
I dati raccolti in questa ricerca si collegano inevitabilmente a quelli ottenuti da altri studi recenti, che mettono in correlazione la deforestazione con la perdita di biodiversità e, di conseguenza, con la diffusione di malattie con potenziale pandemico. Da una parte, una ricerca pubblicata sulla rivista Nature, spiega chiaramente che mentre alcune specie di animali si estinguono a causa dell’uomo, altre tendono a sopravvivere e prosperare – ratti e pipistrelli, per esempio. Queste, hanno maggiori probabilità di ospitare agenti patogeni potenzialmente pericolosi anche per l’uomo.
Dall’altra parte uno studio dell’ONU evidenzia le cause che scatenano malattie zoonotiche come il Covid-19, in grado di trasformarsi in pandemie. Tra queste, spiccano sicuramente l’aumento della domanda di proteine animali, le forme intensive di allevamento e agricoltura nonché il cambiamento climatico. Fattori strettamente connessi tra loro e con l’attuale crisi ambientale. Secondo gli esperti, se si ha una perdita di biodiversità, ci si trova di fronte a poche specie in sostituzione di molte – e queste specie tendono a essere quelle che ospitano agenti patogeni che possono trasmettersi all’uomo.
Il nodo nevralgico della questione, dunque, è fermare la deforestazione che, secondo la FAO, continua a livello globale a un ritmo di 10 milioni di ettari all’anno.

Scegli i prodotti certificati VEGANOK e sostieni così la libera informazione!