Imporre una tassa sugli alimenti che hanno l’impatto ambientale maggiore come mezzo per gestire il cambiamento climatico. Questa è la proposta lanciata al governo inglese dalla UK Health Alliance on Climate Change (UKHACC) – che include 21 organizzazioni sanitarie britanniche che lavorano per promuovere la salute pubblica e contrastare i cambiamenti climatici – all’interno del report “All-consuming: building a healthier food system for people and planet“. Quello che emerge dal documento riguarda soprattutto l’impossibilità di agire sul cambiamento climatico senza modificare il nostro sistema alimentare: un punto di importanza strategica, che punta ancora una volta i riflettori sul consumo di carne e sul suo impatto sull’ambiente.
Mentre l’Europa ha da poco scelto di finanziare una campagna di promozione della carne rossa – in netto contrasto con gli obiettivi di sviluppo nella direzione della tanto auspicata sostenibilità del Green Deal – un sondaggio commissionato dall’UKHACC mostra elevati livelli di preoccupazione tra i professionisti della sanità del Regno Unito rispetto all’impatto dell’alimentazione sul clima. Due terzi degli intervistati (67%) concordano nell’affermare che cambiare la propria dieta in modo da ridurre il suo impatto ambientale (ad esempio mangiando meno carne) può anche migliorare la salute, e il 40% ha già modificato le proprie abitudini alimentari per motivazioni legate alla sostenibilità ambientale.
Carne e clima: l’impatto
Nel documento si evidenzia chiaramente la connessione tra consumo di carne e cambiamenti climatici: “La produzione di carne ha un impatto particolarmente elevato sul clima, mentre le diete che prediligono le proteine vegetali e limitano quelle di origine animale sono
associate a una minore produzione di gas a effetto serra, nonché a migliori risultati in termini mantenimento della salute. Gli esperti sostengono che occorrerebbe un calo del 20% del consumo di carne di manzo, agnello e latticini per arrivare a zero emissioni nette entro il 2050“.
A dire la verità, già da tempo si parla della possibilità di tassare la carne in Europa, sulla falsa riga della tassa sullo zucchero e di quella sulla plastica. Anche per motivazioni legate alla salute. A Novembre 2018, uno studio dell’Università di Oxford si era focalizzato sul tema dell’efficacia di una “meat tax” sulle questioni di sanità pubblica, ipotizzando che tassare la carne rossa e processata avrebbe potuto salvare220.000 vite entro il 2020. Ma non è tutto, perché secondo lo studio, le malattie legate alla carne costano da un punto di vista sanitario 285 miliardi di dollari. È stato rilevato che una tassa del 20% sulle carni rosse non trasformate e una tassa del 110% sui prodotti trasformati più dannosi in tutti i paesi ad alto reddito, taglierebbe i decessi annuali di 220.000 unità e permetterebbe di risparmiare 170 miliardi di dollari.
La sfida riguarda soprattutto la capacità di normalizzare, come primo passo, un minor consumo di carne, in un mondo in cui questo alimento è ancora associato ai concetti di salute e benessere e il legame tra la sua produzione e il cambiamento climatico è ancora sottovalutato. Eppure, i dati sono chiari e incontestabili: solo nel nostro Paese, secondo un recentissimo studio dell’Università della Tuscia, gli allevamenti – ed è un dato sottostimato – consumano da soli il 39% delle risorse naturali a disposizione sul territorio agricolo italiano.
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Parlando invece di salute, va ricordato che nel 2015 l’organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha identificando le carni lavorate come come cancerogene e le carni rosse come probabilmente cancerogene, gruppo 2A della classificazione.
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Se la corretta informazione rimane uno strumento importantissimo per invertire questa rotta pericolosa, gli esperti sottolineano anche l’importanza del settore pubblico come veicolo di un cambiamento alimentare concreto, a cominciare dagli ospedali e dalle scuole. Anche il prezzo degli alimenti, però, è un fattore determinante: attualmente il costo della carne non è in grado di coprire l’enorme impatto che la sua produzione e il suo consumo hanno sulle emissioni di gas, sulla biodiversità e sulla salute umana. Secondo gli studiosi dell’Università di Augusta, il prezzo “reale” della carne comporterebbe un +173% per quella proveniente da allevamento convenzionale.
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Il boom delle alternative plant-based
Mentre l’ipotesi di una eco tassa sulla carne si fa via via sempre più concreta – anche se si tratta ancora di una proposta di legge – non bisogna dimenticare l’enorme ascesa dei prodotti vegetali nel panorama alimentare globale. Non solo grazie a vegetariani e vegani, ma soprattutto per merito di consumatori consapevoli che scelgono le alternative vegetali come parte di uno stile di vita più sano, più sostenibile e più etico.
Noi tutti possiamo fare la differenza scegliendo consapevolmente cosa mettere nel carrello e cosa lasciare tra le corsie del supermercato. Ogni volta che optiamo per un prodotto plant-based diamo voce alla scelta di non contribuire a finanziare un sistema che ha gravissime ripercussioni dal punto di vista ambientale, etico e sanitario. In questi termini, l’acquisto diventa uno strumento e soprattutto l’espressione di una volontà.
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