Secondo lo studio annuale realizzato dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica-AIOM, nel 2019 il tumore al seno risulta ancora tra le cinque patologie oncologiche più diffuse nel nostro paese: i dati parlano di 53mila nuovi casi di tumori del seno diagnosticati solo quest’anno – senza contare gli uomini – in Italia. Considerata l’intera popolazione, nel nostro Paese vivono circa 800mila donne che hanno o hanno avuto un tumore del seno, con un rischio di incidenza della malattia che aumenta all’aumentare dell’età.
È possibile che tra i fattori di incidenza di questa malattia oncologica figurino anche le tinture permanenti per capelli e i prodotti liscianti? Sì, secondo uno studio pubblicato di recente sulla prestigiosa rivista scientifica International Journal of Cancer e realizzato dai National Institutes of Health (Istituti Nazionali di Sanità, abbreviati in NIH), un’agenzia del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti. Una ricerca che arriva dopo diversi studi a riguardo, anche perché questo argomento è risultato di particolare interesse specialmente negli anni ’70-’80, quando numerosi esperti hanno cercato di dare una risposta a riguardo.
Lo studio e i dati raccolti
La nuova analisi ha preso in considerazione per 8 anni un campione di circa 50mila donne, osservando che quelle che avevano usato regolarmente la tintura permanente per capelli nell’anno precedente alla loro partecipazione all’indagine, avevano il 9% di probabilità in più di sviluppare il cancro al seno rispetto a coloro che non l’avevano mai usata. Inoltre, è stato riscontrato che tra le donne afroamericane, l’uso di tinture permanenti ogni 5-8 settimane o più è associato a un aumento del rischio del 60% di sviluppare cancro al seno rispetto a un aumento dell’8% per le donne caucasiche. Nessun aumento o quasi, invece, è stato associato all’impiego di coloranti semipermanenti e temporanei.
Per quanto riguarda i prodotti liscianti, coloro che avevano usato questi prodotti per capelli almeno ogni 5-8 settimane avrebbero avuto circa il 30% in più di probabilità di sviluppare il cancro al seno.
Il parere dell’esperta
Tra gli studiosi esistono due correnti di pensiero diverse: il dibattito è aperto tra chi sostiene che le tinture per capelli vadano evitate in maniera tassativa e chi, invece, ritiene che i dati raccolti non siano sufficienti per lanciare un allarme e che questa tipologia di prodotti si possa impiegare senza rischi. Noi di Osservatorio VEGANOK abbiamo chiesto il parere della dottoressa Erica Congiu – biologa nutrizionista coordinatrice e responsabile di BioDizionario.it, che ha dichiarato: “Da più di 20 anni, tramite l’immenso progetto “BIODIZIONARIO” promuoviamo un atteggiamento cautelativo nei confronti delle sostanze presenti nelle tinte e nei prodotti per la stiratura dei capelli. Questi prodotti infatti contengono tutta una serie di sostanze chimiche segnalate in rosso sul BIODIZIONARIO, tra cui ammoniaca e il suo sostituto nelle tinte “senza ammoniaca”, la monoetanolammina, PARA-FENILENDIAMMINA, resorcina e TOLUENE-2,5 DIAMINE SULFATE (PTD) e sono spesso conservate con parabeni, di cui è ormai noto il comportamento come “perturbatori endocrini” o cessori di formaldeide come l’imidazolyn urea, una sostanza certamente cancerogena secondo l’OMS”.
“Sebbene sia difficile formulare tinte completamente naturali, il mercato dell’ecobio mette a disposizione una vasta gamma di prodotti privi delle sostanze più pericolose. I “puristi” della cosmesi naturale possono trovare un valido alleato nell’hennè e in altre erbe tintorie che permettono di cambiare il colore della capigliatura, nascondendo i capelli bianchi, preservando o addirittura migliorando la salute del capello e della cute che lo ospita. Allo stato attuale, l’unico prodotto colorante che potrebbe accedere allo standard “BIODIZIONARIO APPROVED” dovrebbe essere a base di henné, eventualmente addizionato con oli o burri vegetali e/o altre erbe tintorie che possano esaltarne il potere colorante e la durata del colore. Molti brand che producono tinte per capelli hanno adottato il rigido standard VEGANOK, ma questo purtroppo non assicura l’assenza di sostanze irritanti o potenzialmente cancerogene, essendo queste di origine chimica e quindi non discriminate dalle certificazioni vegane”.
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