Nell’odierna società dei consumi, è sempre più difficile e raro poter parlare di bene durevole, di un oggetto, più o meno utile, in grado di farsi apprezzare nel tempo: la fugace quotidianità impone un consumismo senza riguardi e persino i prodotti un po’ più costosi, i quali magari possiedono un valore aggiunto non solo per la raffinata fattura, ma in quanto è stata loro attribuita una valenza affettiva, finiscono inesorabilmente nel vortice dell’imperativo “usa e getta”. Si compra, spesso risparmiando a scapito della qualità, si utilizza, senza particolare attenzione nei confronti della merce acquistata, e dopo poco si butta, talvolta dove capita, poiché molti ignorano l’importanza della raccolta differenziata.
Pochi si rendono conto che non stanno gettando via soltanto un pezzo di pane ammuffito, un peluche strappato o un frullatore non più funzionante, per colpa dell’incuria e della disattenzione che hanno accorciato la vita di questi oggetti, i quali andranno ad ammassarsi in discariche sempre più piene e fuori controllo; dietro di essi, infatti, si celano il lavoro umano, una vera e propria quantità industriale di acqua ed energia di fabbricazione andata parzialmente perduta, in quanto non sfruttata al massimo.
Lo spreco è intorno a noi, squallido e immotivato: perché cambiare l’aspirapolvere una volta l’anno, se quella “vecchia” ancora funziona e il nuovo modello è dotato soltanto di un’insulsa miglioria in più? Ha senso far fuori un vestito, indossato soltanto un paio di volte, perché non è più di moda?
Per non parlare di quelle famiglie, che si definiscono “indigenti”, ma che poi riempiono i carrelli della spesa di cibi tutt’altro che salutari e frugali, superando di molto il proprio fabbisogno alimentare: si tratta di confezioni prese a caso dagli scaffali, magari evidenziate da un’ingannevole offerta speciale, le quali, una volta riposte nel frigorifero o nelle credenze di casa, rimangono lì ben oltre la data di scadenza, per poi finire nella pattumiera…
Nella spirale nefasta dello spreco, probabilmente quello alimentare è il più eclatante: ogni anno, in Italia, si buttano nella spazzatura 145 chili di cibo per abitante; nelle mense scolastiche, un pasto su tre finisce nel cassonetto e, nei supermercati, si stima uno spreco di 18,8 chili ogni metro quadro.
Fortunatamente, il nostro Paese è il quarto al mondo nella lotta allo spreco alimentare e, secondo il Food Sustainability Index, il cibo gettato rispetto a quello prodotto equivale al 2,3% (nel 2016 era del 3,58%); sebbene si stia assistendo a un piccolo miglioramento, i 2,2 milioni di tonnellate di cibo buttati annualmente in Italia generano una perdita economica complessiva di 8,5 miliardi di euro, pari allo 0,6% del Pil: è evidente che tutto ciò si ripercuote sull’ambiente e, da un punto di vista morale, su tutte quelle popolazioni umane che non hanno veramente cibo a sufficienza per sfamarsi.
A causa della superficialità dell’uomo globalizzato e “sprecone”, la natura è costretta a sobbarcarsi il peso sempre più insostenibile dei rifiuti: secondo il Rapporto Nazionale sul Riutilizzo 2018, il 2% dei rifiuti prodotti in Italia potrebbe essere destinato al riuso, poiché costituito da beni durevoli riutilizzabili, una percentuale che corrisponde a circa 600mila tonnellate di oggetti buttati, senza che ce ne fosse effettivamente bisogno, per un valore di 60 milioni di euro.
Tuttavia, il nostro Paese, tra rifiuti tossici e terre dei fuochi, nasconde anche eccellenze ambientali e tecnologiche, tra le più avanzate al mondo; macchinari all’avanguardia di lavorazione e rigenerazione si occupano non soltanto degli imballaggi più diffusi: oltre 10mila aziende sono impegnate nel recupero di apparecchi elettrici ed elettronici, batterie, lubrificanti e tessuti, tant’è che in Romania questi esempi virtuosi vengono presi come modello.
Nonostante i numerosi passi avanti fatti negli ultimi tempi, secondo Legambiente solo il 30% dei rifiuti italiani viene raccolto e avviato al riciclo: la cifra include le enormi disparità tra il Nord e il Sud ed è ben lontana dagli obiettivi fissati a livello comunitario; complici di questo deludente risultato sono gli affari illeciti che impediscono uno sviluppo stabile del ciclo del riciclaggio, oltre la scarsa diffusione della tematica e un pessimo senso di civiltà degli italiani.
Ridurre, riutilizzare, riciclare la materia e recuperare energia: queste sono le quattro erre che ogni bravo cittadino dovrebbe tenere a mente, non solo per il benessere del territorio, ma anche per la salute delle persone, per poi metterle sempre in pratica, dividendo plastica, carta, umido, vetro, rifiuti pericolosi e avendo cura di ciò che si ha.
Perché, se il cielo è grigio a causa dei fumi malsani di un inceneritore e se nel mare nuotiamo insieme a buste di plastica o assorbenti usati, è anche colpa delle nostre indifferenza e noncuranza.
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Solo con la partecipazione di tutti potremo fare la differenza per la salvaguardia del pianeta.
Roberto Contestabile
dice:Ottimo approfondimento. Da evidenziare l’enorme responsabilitàdella Gdo (grande distribuzione organizzata) che per mantenere i propri standard aziendali (layout d’assortimento prodotti) spesso e volentieri esegue procedure assolutamente contrarie al risparmio e alla parsimonia, prediligendo azioni di marketing solo rivolte alla massimo profitto e poco alla flessibilità economica. Basti pensare agli articoli sotto scadenza o non idonei ad una vendita standard (barattoli ammaccati ma integri o flaconi senza etichette, per non parlare della classica mela “toccata” o la banana “macchiata”. Se il consumatore negli anni è diventato “difettoso” la colpa è anche dei supermercati che per reggere la concorrenza hanno imposto rigide regole di efficienza psicotica.