VEGAN, ANTISPECISTA, NON SPECISTA. Proviamo a fare un po’ di chiarezza.
Da alcuni anni ormai troviamo utilizzato nell’ambiente vegan il termine “antispecismo” come rappresentazione di un luogo di idee innovative rispetto al termine “vegan”. I più assidui utilizzatori di questo termine si trovano (ahimè) in quell’ambito che dai media nazionali (e dalla maggior parte della gente comune) viene percepito come “estremista” o comunque legato ad un tipo di azione molto violenta verbalmente, quando non anche fisicamente.
In realtà il termine “antispecista” definisce il porsi in opposizione a chiunque ritenga che le differenze tra specie possano giustificare e legittimare la violenza di una specie su un’altra privandola dei diritti fondamentali della vita, della libertà o della dignità.
Come si può ben capire dall’etimologia della parola “specismo”, si tratta pratica di “razzismo” attuato non tra razze, ma tra specie diverse (nel caso specifico la specie umana che si ritiene superiore alle specie non umane e ritiene che questo generi il diritto di supremazia e sterminio).
Come è possibile che una scelta di rispetto e di uguaglianza per ogni forma senziente possa aver trasmesso nell’ideologia comune un significato così diverso e così negativo?
Evidentemente, l’azione di difesa delle vittime tipica degli “AntiSpecisti”, avendo una fisiologica parte di azione tesa a provocare le coscienze di chiunque non abbia ancora acquisito tale consapevolezza, agisce spesso sulle corde più fragili della sensibilità comune.
Se poi aggiungiamo che comunemente, per far comprendere la realtà dello sterminio animale, si utilizzano immagini e video oggettivamente forti, non bisogna meravigliarsi poi, se questo genera nella percezione comune un senso di frustrazione che fa percepire i “ribelli” come persone violente.
Come fare dunque per ristabilire la giusta dignità alla lotta per il riconoscimento dei diritti degli animali non umani?
Innanzitutto, bisogna comprendere che questo cambiamento sarà un percorso lungo e articolato e quindi più che concentrarsi su azioni immediate, ogni realtà esistente dovrebbe adoperarsi per immaginare (preferibilmente concordandola tra le diverse organizzazioni esistenti), una strategia più a lungo termine. Anni, se non decenni.
Evidentemente agire sulla base di strategie a lungo termine è meno premiante per il proprio ego rispetto a proteste immediate e governate dall’euforia del momento, ma ogni attivista ha il dovere di tenere bene in mente che l’azione reale e concretamente utile non deve avere come finalità la soddisfazione o lo sfogo personale, ma piuttosto il raggiungimento di obiettivi ben precisi.
Tornando alla definizione così molto utilizzata di “Antispecista”, l’errore di partenza è nel voler trasmettere la nobiltà di questa scelta con un termine “ANTI” più consono a definire una volontà di aggressione e non di difesa.
Personalmente da diversi anni non uso più il termine “Antispecista” per definire le mie attività vegan, ma ho preferito coniare un più corretto “Non Specista”. Penso sia importante chiarire che le iniziative di noi attivisti, non nascono e non agiscono “CONTRO” qualcuno, ma “A FAVORE” di qualcuno.
La mia scelta “Non Specista” non mi fa odiare cacciatori e macellai. Mi fa invece provare pena per loro che, nel loro ruolo di carnefici, ancora non sono riusciti a trovare serenità e compassione nella loro vita immersa nel dolore e nella disperazione delle loro vittime.
Non lotto per far chiudere macellerie, ma impiego ogni secondo della mia vita per un cambiamento della sensibilità comune che renderà inutile e anacronistica la loro stessa esistenza.
Potrò considerare terminata la mia missione solo quando essa non sarà più necessaria perché sarà la società stessa a non chiedere (e non permettere) violenza verso i nostri fratelli animali.
Nel frattempo, per descrivere ciò che sono ciò e che faccio, non esiste alcun termine migliore di “VEGAN” e quindi orgogliosamente “NON SPECISTA”.
Sauro Martella
Fondatore di VEGANOK Network
www.veganok.com
Fonte: www.promiseland.it
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Solo con la partecipazione di tutti potremo fare la differenza per la salvaguardia del pianeta.
lauraserpilli
dice:non esiste secondo me un gesto più rivoluzionario di riempire le parole con il vero significato che hanno. Capire il senso vero del non specismo infatti significa comprendere non solo un concetto ma una visione della realtà e quindi un’ipotesi di cambiamento. Se continuiamo ad ignorare i significati delle parole e a relegarli a mero fatto linguistico, non potremo mai interiorizzare davvero modi nuovi di interpretare la realtà. Le possibilità passano attraverso le parole che possiamo usare per descriverle.
Roberto Contestabile
dice:Le terminologie sono importanti perché generano comunicazione, e la comunicazione crea confronto, e quindi dibattito. Ottenere determinati risultati dipende soprattutto dalla loro efficacia. Senza dialogo non c’è sviluppo, e quindi progresso. Il suffisso “anti” pregiudica uno scontro, non necessariamente duro, che vuole creare una visione opposta al tema in discussione. Il “non” è una negazione netta, ovvero un distacco profondo. Più è forte il rifiuto, maggiore sarà la sua efficacia rivoluzionaria.
Facendo un esempio abbastanza pratico, è più semplice ottenere risultati perseguendo azioni non/violente piuttosto che anti/violenze.