Si chiama “paradosso del formaggio” e, secondo gli esperti, è la ragione psicologica che porta le persone vegetariane a considerare eticamente migliore il consumo di formaggio rispetto a quello di latte: lo rivela uno studio recente, condotto da un team dell’Università di Stirling, nel Regno Unito, per indagare sul risvolto etico del consumo di prodotti animali. Basandosi sul concetto di “paradosso della carne” – un processo di dissonanza cognitiva che fa sì che le persone possano definirsi amanti degli animali pur continuando a mangiarla – gli esperti hanno delineato la possibilità che esista un altro tipo di processo psicologico disfunzionale che riguarda le persone vegetariane.
Queste ultime potrebbero comprensibilmente mostrarsi più empatiche nei confronti degli animali rispetto alle persone onnivore, ma scelgono attivamente di includere derivati animali nella loro dieta, fornendo un terreno fertile per esplorare questa possibilità. Nello studio si legge che “i prodotti animali diversi dalla carne, come uova e latticini, comportano gli stessi problemi etici, e forse anche peggiori, della carne, ma ricevono un’attenzione critica sproporzionatamente inferiore”.
Latte e formaggio: un consumo tra dissonanza cognitiva e dipendenza
Gli esperti dunque sono partiti da questo presupposto per portare avanti la propria ricerca, che ha coinvolto 12 persone vegetariane da più di sei mesi: di queste, 10 si sono dette “fortemente contrarie” al consumo di latte, perché considerato un prodotto non etico. Ironia della sorte, ci vogliono circa 10 litri di latte per produrre solo 1 kg di formaggio, quindi chi lo mangia probabilmente consuma più latte di coloro che optano solo per il latte.
Inoltre, incredibilmente, lo stesso giudizio negativo non ha colpito il formaggio: pur essendo un prodotto a base di latte e pur comportando gli stessi identici problemi dal punto di vista etico, gli intervistati si sono detti in qualche modo più affezionati al suo consumo. “Sento che il latte è maggiore esempio di quell’industria e del tipo di brutalità a cui le mucche vanno incontro negli allevamenti intensivi.. So che provengono dalla stessa fonte, ma per qualche ragione il latte ne è un esempio peggiore per me, rispetto al formaggio” è stata più o meno la stessa risposta di tutti i partecipanti.
Il motivo potrebbe essere legato al fatto che esiste una dissociazione a livello inconscio, che porta il formaggio a essere considerato più “lontano” dalla sua origine animale – anche per via dei processi produttivi e di trasformazione – e quindi più accettabile eticamente. Senza contare che esiste una forma di dipendenza legata al consumo di formaggio. La combinazione grasso/salato, tipica della maggior parte dei formaggi, sembra piacere particolarmente al nostro cervello: è difficile resistere a patatine, arachidi salate o stuzzichini, e questo è legato in gran parte al modo in cui sono organizzati i nostri circuiti neurologici.
Il fatto è che il sale è fondamentale per l’organismo (le linee guida parlano di circa 1 grammo e mezzo al giorno), ma in epoca preistorica era difficilissimo da trovare. Di fatto, sopravviveva solo chi riusciva a procurarselo. Per questo, il l’evoluzione ha fatto sì che il nostro cervello diventasse in grado di rilevarne la presenza nel cibo, attivando in sua presenza i neuroni nel “centro della ricompensa” – che rilasciano la dopamina, il neurotrasmettitore del benessere. Così, i cibi che lo contengono diventano estremamente desiderabili.
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