Conosci qualche vegetariano – o tu stess* hai deciso di diventarlo – nella convinzione che sia la scelta giusta dal punto di vista etico e ambientale. Purtroppo, però, vegetariano non basta, né da un punto di vista etico né dal punto di vista di una maggiore sostenibilità ambientale.
Capita spesso che la scelta vegan, anche dai vegetariani, sia percepita come estrema e ci si convinca che eliminare carne e pesce sia sufficiente: la convinzione comune è che la produzione di latte e uova (ma anche miele) siano innocue per gli animali, ma la realtà è ben diversa.
Partiamo da un presupposto: la maggior parte dei vegetariani si considera tale per motivazioni etiche, per non contribuire alla morte degli animali uccisi per la loro carne. Questo, però, presuppone che la produzione di latte e uova non comportino morte e sofferenza per gli animali coinvolti, quando in realtà si tratta di industrie crudeli tanto quanto quelle della carne.
Perché i vegani non consumano latte
Gran parte dell’idea di un’industria lattiero-casearia etica, con mucche “felici” al pascolo che non vedono l’ora di donare il proprio latte all’uomo, lo dobbiamo alla visione distorta veicolata da sempre dalla pubblicità. La produzione di latte è aberrante tanto quella della carne, e come le altre coinvolge animali privati della libertà, costretti a vivere una breve esistenza di stenti, per poi finire inesorabilmente al macello.
Le indagini sotto copertura condotte negli anni dalle associazioni animaliste mostrano anche qui maltrattamenti, violenza e sfruttamento come status quo all’interno degli allevamenti intensivi. Siamo di fronte a un’industria, che in quanto tale si piega alle regole di mercato. In natura, la vita media di una vacca sarebbe di 20 anni, ma in allevamento si riduce a 4 o 5 a causa delle condizioni di sfruttamento estremo e le malattie.
E no, nessun mammifero produce latte sempre, semplicemente perché non esistono animali “da latte”: così come l’essere umano, anche le mucche producono latte solo dopo una gravidanza, che in allevamento viene indotta artificialmente con metodi brutali. Ogni individuo è costretto, nell’arco della sua breve vita, a portare a termine più gravidanze di quante ne condurrebbe in natura, per soddisfare la domanda di latte vaccino, fino allo stremo. Anche l’idea che una vacca possa esplodere se non viene munta o che questa operazione sia di qualche sollievo per gli animali è senza alcun fondamento.
E cosa dire del frutto di queste innumerevoli gravidanze? I vitelli, se maschi, vengono inviati al macello subito, perché inutili nell’industria lattiero-casearia; se femmine, rimpiazzano le madri nella filiera produttiva, in un ciclo continuo. Lo sfruttamento e la morte esistono quindi anche nell’industria lattiero-casearia.
Per approfondire: Perché i vegani non bevono il latte?
E le uova?
Anche pensare che la produzione di uova sia un procedimento innocuo per gli animali è quanto di più lontano dalla realtà: le immagini che le associazioni animaliste rubano (letteralmente) dagli allevamenti intensivi ci parlano di sofferenza e morte. Oltre la metà delle galline allevate in Italia per le loro uova rientrano nel sistema dell’allevamento in gabbia, probabilmente uno dei peggiori in assoluto. Migliaia e migliaia di galline ammassate in spazi piccolissimi, chiuse in batterie talmente piccole da non permettere loro nemmeno di spiegare le ali. Spesso, per sfruttare al meglio lo spazio, le gabbie sono disposte su più piani all’interno di enormi hangar senza finestre.
Una breve vita di stenti, che si conclude nel momento in cui le galline non sono più produttive e che, fino a poco tempo fa, comprendeva anche la pratica aberrante di triturare vivi i pulcini maschi; entro il 2026, però, grazie al lavoro delle associazioni animaliste dovrà essere bandita su tutto il territorio europeo.
Per saperne di più: Perché i vegani non mangiano le uova?
No, vegetariano non basta (e nemmeno flexitariano)
Basterebbe questo a spiegare perché essere vegetariani, seppure si possa considerare un ottimo primo passo verso la scelta vegan, non sia sufficiente per gli animali, che hanno il diritto a non essere considerati “macchine da produzione” al servizio dell’uomo.
A questo si aggiunge la questione ambientale: sono sempre più numerose le evidenze scientifiche che dimostrano in maniera incontrovertibile la connessione tra allevamenti intensivi e cambiamenti climatici. Consumare prodotti provenienti da queste realtà, e quindi sostenerle, contribuisce ad aggravare la crisi climatica – giunta già a livelli allarmanti. Secondo un recente report, è sempre più probabile che la temperatura media globale aumenti di 1,5° entro il 2026, arrivando ben presto a disattendere gli accordi di Parigi del 2015 sul clima. Anzi: esiste quasi il 50% di possibilità che ciò accada proprio entro i prossimi 5 anni.
Per questo motivo, anche una dieta flexitarian – che riduce il consumo di carne e derivati, pur senza eliminarli del tutto – è un inizio, ma non è ancora la strada giusta: passare a un’alimentazione 100% plant-based è il mezzo più potente e concreto che abbiamo a disposizione per noi, gli animali e il Pianeta.
Leggi anche: Perché la dieta flexitariana può essere un’introduzione soft alla scelta vegan
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