Si scrive “vertical farming” e si legge “rivoluzione alimentare sostenibile”: parliamo di orti verticali che permettono di coltivare in un ambiente chiuso, in cui le piante crescono su superfici poste su più livelli, per ridurre al minimo lo spazio necessario per la crescita. La coltivazione può avvenire pressoché ovunque, all’interno di grattacieli, magazzini o container. Questo permette di ridurre l’uso del suolo, coltivando frutta e verdura in ambienti controllati, quasi sempre senza l’uso di pesticidi e con uno spreco idrico minore. Quella della vertical farming è una tecnologia recente, nata a Singapore nel 2012 per far fronte all’aumento della richiesta di cibo, proporzionale all’aumento della popolazione globale, senza intaccare le poche aree coltivabili ancora disponibili nel mondo (circa il 20%).
Dal punto di vista ambientale, le vertical farm non possono che dirsi sostenibili: in linea generale, consentono di risparmiare fino al 90% di acqua e di ridurre gli spazi di 10-15 volte rispetto alla coltivazione tradizionale, aumentando la produttività fino a 350 volte. A questo si aggiunge che permettono di coltivare ovunque e in qualsiasi stagione, dal momento che non sfruttano la luce solare ma quella di apposite lampade a led, e forniscono vegetali praticamente a km zero, biologici e prodotti con sistemi che riducono al minimo gli sprechi. Inoltre, l’aria immessa negli edifici interessati dal vertical farming è purificata attraverso un sistema di filtraggio che permette di mantenere le sostanze inquinanti all’esterno, rendendo di fatto i prodotti coltivati più sani e sicuri.
Anche se le vertical farming da sole, ovviamente, non possono essere una soluzione al problema della fame nel mondo, sono sicuramente una tecnologia utile nell’insieme delle strategie per costruire un sistema alimentare sostenibile. Per questo, sono sempre di più le realtà che si concentrano sulla coltivazione verticale, anche in Italia: a Cavenago di Brianza, alle porte di Milano, è nata la prima vertical farm italiana, la più grande d’Europa, che si chiama Planet Farms. In tutto il resto della penisola, comunque, esistono realtà produttive che si stanno avvicinando al sistema di coltivazione verticale, che richiede spazi e risorse minimi.
Vertical Farming: uno sguardo d’insieme
Secondo un report della società di ricerche Allied Market Research, il valore del mercato globale delle vertical farming è stato valutato 2,23 miliardi di dollari nel 2018 e si prevede che raggiungerà quota 12,77 miliardi di dollari entro il 2026, crescendo a un CAGR del 24,6% dal 2019 al 2026. La possibilità di utilizzare lo spazio verticale e la riduzione della necessità di ulteriori terreni rappresenta una delle maggiori attrattive dell’agricoltura verticale per le grandi città. Si prevede che la domanda di questo tipo di coltivazione aumenterà in gran parte per via della crescente popolarità del cibo biologico e a km zero.
Il motivo è che il concetto di “biologico” e “sostenibile” attirano sempre più consumatori consapevoli, attenti a queste tematiche specialmente nel settore alimentare. Un interesse per gli stili di vita sani e sostenibili collegato certamente alla pandemia, e che si riflette anche nel lento ma costante incremento delle vendite nel settore plant-based.
Il sistema delle vertical farming è altamente tecnologico e innovativo e questo aspetto è sia la sua forza che la sua debolezza: da una parte ci sono gli enormi vantaggi in termini di sostenibilità ambientale e aumento della produttività; dall’altra, la necessità di personale altamente qualificato – per seguire ogni fase della produzione, che dipende totalmente dalla tecnologia – comporta un aumento dei costi di cui bisogna tenere conto.
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