Nuovo focolaio di Coronavirus in un allevamento di visoni in Italia: siamo a Villa del Conte (Padova), dove 2000 visoni stanno per essere abbattuti per fermare la diffusione del virus. A diffondere la notizia è LAV, che tramite un’indagine amministrativa, ha portato alla luce che le autorità sanitarie avevano rilevato alcune positività negli animali della struttura già lo scorso 11 gennaio. Ma non è tutto, perché ulteriori accertamenti tra gennaio e marzo hanno rivelato che il 100% degli animali campionati presentava positività agli anticorpi SARS-CoV-2 specifici; questo significa che il contagio da Covid-19 ha interessato l’intero allevamento anche prima dello screening.
Mesi fa, un altro allevamento di visoni italiano – nella provincia di Cremona – è diventato un focolaio di Coronavirus: una notizia diffusa sempre da LAV lo scorso ottobre, ma di cui le autorità sanitarie erano a conoscenza probabilmente già da agosto. Una grave mancanza, visto che è ormai accertata la possibilità di contagi visone-uomo; non a caso, l’Olanda ha deciso di anticipare a marzo 2021 la chiusura degli allevamenti di visoni prevista per legge per la fine del 2023. In questi mesi, in Europa, abbiamo assistito a una vera e propria mattanza di visoni: solo in Danimarca, sono stati uccisi 15 milioni di animali e poi gettati in fosse isolate.
Il tutto, a scopo preventivo: gli esperti, infatti, hanno scoperto che visoni e uomini si possono contagiare a vicenda, e che questi animali possano infettare l’essere umano con una forma mutata di virus. Un agente patogeno potenzialmente più aggressivo e immune ai vaccini che l’Europa sta somministrando ai cittadini in questo periodo. Questi animali, allevati per la loro pelliccia in condizioni estremamente precarie, sono diventati vittime per la seconda volta, uccisi (anche da sani) per il timore di un possibile contagio.
In Italia, quindi, continuano a esistere potenziali e pericolosi serbatoi per il virus, anche se a febbraio è stato deciso lo stop agli allevamenti di visoni per tutto il 2021. Il provvedimento è insufficiente perché riguarda la sospensione delle attività, ma non l’allontanamento degli animali dalle strutture. In questo caso, in particolare, sono presenti nell’allevamento di Villa del Conte circa 2000 visoni “riproduttori”, destinati all’abbattimento nelle prossime ore.
Le associazioni animaliste, tra cui LAV ed Essere Animali, chiedono ancora la chiusura definitiva degli allevamenti di visoni in Italia, e il divieto di allevare qualsiasi animale per la produzione di pellicce.
Focus on: Covid-19 e industria della pelliccia
Un interessante approfondimento di LAV punta i riflettori sulla non gestione dei focolai di Coronavirus negli allevamenti italiani: “I provvedimenti adottati dal Governo sono arrivati sempre tardi rispetto all’evoluzione dell’epidemia (e sempre dopo i solleciti della LAV). – dichiara l’associazione – Provvedimenti comunque rivelatisi non adeguati in considerazione delle maturate e note evidenze scientifiche (per tutto il 2020 non è mai stato posto l’obbligo di test diagnostici per intercettare visoni infettati, nonostante fosse noto che questi animali sono prevalentemente asintomatici), ed è mancata la condivisione pubblica (delle valutazioni tecniche e dello stato di diffusione del coronavirus tra gli allevamenti italiani)”.
Il punto fondamentale della questione, però, non riguarda tanto e solo l’inesistente biosicurezza e la necessità di mantenere allevamenti “sani”, intoccati dai contagi. Il punto è che siamo di fronte a una scelta: continuare su questa strada e affrontare potenzialmente altre innumerevoli zoonosi, o cambiare rotta e smettere per sempre con gli allevamenti di animali “da pelliccia”? “Lo “spillover” – ricorda LAV – non avviene solo nei wet-market cinesi dove animali di qualunque specie, vivi e morti, vengono ammassati, scuoiati, dissanguati, spellati, mangiati. Le zoonosi interessano anche le produzioni animali da cui si approvvigiona l’industria della moda. Anche in Europa visoni, volpi e cani-procione (le tre specie più allevate per tale finalità) sono ammassati a migliaia in allevamenti intensivi e rinchiusi in minuscole gabbie di rete metallica. Oltre a tutte le problematiche di Benessere Animale che ne conseguono, ulteriore elemento di rischio è il patrimonio genetico praticamente identico che migliaia di animali condividono all’interno dell’allevamento intensivo e che rappresenta una ulteriore opportunità di diffusione di infezioni”.
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Laura Di Cintio
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