Visti da lontano. Il Cane nero di Nassirya

Promiseland -

Pietà anche per il cielo di catrame che ingoia in una tempesta di scoppi e di fuoco gli uccelli migratori. Pietà per la terra bombardata e avvelenata anche dove non passino in quel momento umani e macchine. Esitiamo a parlare della terra per paura di offendere il dolore per gli esseri umani. A tal punto […]

Pietà anche per il cielo di catrame che ingoia in una tempesta di scoppi e
di fuoco gli uccelli migratori. Pietà per la terra bombardata e avvelenata
anche dove non passino in quel momento umani e macchine. Esitiamo a parlare
della terra per paura di offendere il dolore per gli esseri umani.
A tal
punto siamo ancora al centro del creato, e ci vergogniamo di tenere assieme
nella compassione donne e terra, bambini e cani
. Però le abbiamo guardate le figure di animali in tutti questi giorni. Li abbiamo visti morti: badiamo a chiamarli \”carcasse\”. Va bene così, non ci esporremo al ridicolo di
chiamarli salme: piuttosto penseremo anche a noi come carcasse
.

Ho guardato
un cane nero di Nassirya, un lupacchiotto di ventura. Un gruppo di marine
irrompeva in una casa, coi mitra spianati e la foga invasata di chi ha paura
e deve far paura. Il cane alternativamente si avvicinava a loro e rinculava,
combattuto fra la diffidenza e la voglia di accoglienza. Non sapeva se
difendere la casa dei suoi padroni, o se quelli fossero venuti da amici e
potesse adottarli per nuovi padroni. Non gli badavano per ora, né una
carezza né un calcio. Chissà che cosa è successo dopo.
Chissà quanti umani,
cuccioli e adulti, si chiedono se gli uomini strani siano venuti da amici o
nemici, e se saranno i nuovi padroni.

Articolo di Adriano Sofri

Fonte: La Repubblica 5 aprile 2003

Scegli i prodotti certificati VEGANOK e sostieni così la libera informazione!


Solo con la partecipazione di tutti potremo fare la differenza per la salvaguardia del pianeta.

Scarica gratuitamente il nostro magazine