Negli ultimi anni la situazione del comparto zootecnico italiano ha subito cambiamenti piuttosto tangibili, analizzati di recente dall’associazione Essere Animali nel report “Dieci anni di zootecnia in Italia“. Cos’è cambiato nel nostro Paese, dal 2010 alla fine del 2019, rispetto alla macellazione animale e al consumo di carne e derivati? Una visione d’insieme dell’industria agroalimentare italiana e dei suoi numeri, che si accompagna all’analisi dei cambiamenti avvenuti nel decennio scorso nell’allevamento e nella macellazione delle specie animali più diffuse in Italia.
Leggi il report completo: 2010-2019, Dieci anni di zootecnia in Italia
Quello che salta subito all’occhio è una discrepanza tra il quantitativo di carne prodotta nei macelli italiani – calato di 4,5 milioni di quintali – e il numero di animali macellati nel nostro Paese, che è invece aumentato di 37 milioni. Il motivo è legato al tipo di animali macellati: l’allerta lanciata negli ultimi anni dall’OMS rispetto alla pericolosità per la salute del consumo di carne rossa e lavorata, ha portato a una diminuzione della richiesta di questi prodotti. Di conseguenza, è calato anche il numero di animali di grossa taglia (come bovini o suini) macellati. Di contro, è aumentato il consumo e la produzione di carne di pollo, il cui peso a individuo è inferiore anche di cento volte rispetto a un singolo bovino. Ma non basta, perché nonostante l’aumento del numero di animali macellati sia aumentato, il consumo di carne, uova e latticini in Italia è diminuito rispetto a 10 anni fa: i motivi sono legati sia a una maggiore attenzione alla salute, sia a una ritrovata sensibilità rispetto alle condizioni in cui vengono allevati gli animali nonché all’impatto che questi prodotti hanno sull’ambiente.
Italia: meno carne rossa ma più carne bianca; è boom per le bevande vegetali
Dalla ricerca emergono tre aspetti particolarmente interessanti, che delineano un cambiamento delle abitudini alimentari degli italiani:
- la diminuzione di consumo di carne rossa, con conseguente aumento di quella bianca e di pesce;
- il vistoso crollo nelle macellazioni di alcune specie;
- la graduale ma costante sostituzione del latte con alternative vegetali.
L’allarme salute sulle carni rosse ha portato, come accennato, a una diminuzione del consumo di carne rossa: per fare un esempio, rispetto al 2010 si riscontra oggi una diminuzione netta del numero delle macellazioni di bovini (-30%) e degli ovini (-50%). “Oggi mangiare una bistecca o degli insaccati – sottolinea l’associazione – è considerato sempre meno un pasto salutare e necessario ma un piacere che ci si concede”. Questo non significa, però, che gli italiani mangino meno carne in assoluto: a fare le spese dell’allontanamento dei consumi dalla carne rossa ci sono i cosiddetti animali “a carne bianca”, tra cui soprattutto i polli – che sono gli unici animali per cui si è registrato un aumento considerevole nel numero di capi allevati e macellati. Anche i pesci stanno pagando le conseguenze di questo cambiamento, tanto che il consumo pro capite di pesce continua ad aumentare e nel 2017 ha superato i 30 kg all’anno, con una crescita del 50% rispetto al 2010. Mentre il settore della pesca è in evidente calo (-16%) – per via dell’impoverimento di stock ittici nei mari – l’acquacoltura italiana è stabile, ma in compenso sono aumentate le importazioni di prodotti di acquacoltura da paesi terzi. “Riteniamo possibile affermare che oltre alla questione della salute, in questo passaggio dalla carne rossa a carne bianca e pesce incida anche il fattore dell’empatia. – dichiara Essere Animali – Se per vitelli, mucche e maiali stanno crescendo sensibilità e sdegno per le condizioni di allevamento, ben più difficile risulta creare empatia nei confronti di un pollo o di un pesce. Sicuramente empatia e sensibilità stanno dietro ad altri significativi cambiamenti: le nuove generazioni non mangiano cavalli e conigli”.
A questo proposito è interessante notare come negli anni sia avvenuto un calo consistente della macellazione di alcune specie: prendendo a esempio proprio cavalli e conigli, si nota come l’Italia sia passata da essere tra i leader europei per allevamento e consumo della carne di questi animali, a un drastico calo dei suoi consumi che, secondo le previsioni, è destinato a raggiungere lo zero entro pochi anni. Il motivo è il diverso “peso affettivo” che questi animali hanno acquisito negli ultimi anni, tanto che sempre più italiani li hanno eletti animali “da affezione”. Lo stesso si può dire per gli agnelli, che sempre più famiglie italiane si rifiutano di portare in tavola. Ma qui entra in gioco un altro fattore: far nascere gli agnelli è necessario per produrre latte di pecora, utilizzato prevalentemente per il formaggio pecorino. E fino a quando il consumo di formaggi rimarrà stabile, gli agnelli dovranno nascere per poi essere uccisi o esportati.
Che cosa dire, invece, rispetto al consumo di latte vaccino? Mentre per i formaggi non si rilevano cambiamenti significativi, in questi anni si è assistito a un vero e proprio boom delle alternative vegetali, decuplicate nelle offerte e ormai con reparti dedicati sempre più ampi nei supermercati. Vuoi per motivi di salute o per le intolleranze, vuoi perché le alternative vegetali sono meno grasse e più digeribili, gli italiani stanno consumando sempre meno latte vaccino. Oggi 1 italiano su 4 ha introdotto nella propria spesa anche le bevande alternative, che hanno raggiunto prezzi più bassi e competitivi. “Il settore latte in Italia e in Europa è in grave crisi – si legge nel report – ed è tenuto in piedi quasi esclusivamente da sussidi. Solo in Italia negli ultimi dieci anni hanno chiuso quasi 12 mila allevamenti. Con tutta probabilità, come affermano analisti interni, nel prossimo decennio si deciderà il futuro del settore”.
“Oltre a mostrare i cambiamenti del settore zootecnico e dei consumi di prodotti animali nella decade appena trascorsa, questo report vuole essere uno strumento per capire le motivazioni che sono alla base di questi cambiamenti, così da riflettere su una loro futura evoluzione. È evidente che le indicazioni di tipo salutistico abbiano giocato un ruolo fondamentale nell’influenzare le scelte alimentari, ma vi è anche una crescente preoccupazione per il benessere animale, emersa in seguito alla diffusione in televisione delle prime inchieste giornalistiche che hanno mostrato le condizioni critiche degli animali all’interno degli allevamenti intensivi. Per quanto tutto ciò sia avvenuto in pochi anni, vi sono già segnali che mostrano un cambio di prospettive e abitudini di cui probabilmente vedremo gli effetti più importanti negli anni a venire, essendo soprattutto le nuove generazioni a recepire questi cambiamenti”.
Simone Montuschi, presidente di Essere Animali
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